RECENSION 19 / REVIEW 19 THOLOI D'ITALIA Miosi Marco, Tholoi d'Italia. Trulli e capanne in pietra a secco con copertura a tholos, Edizioni di Pagina, Collana Etnografie, 2012, 304 p. (recensione : Sergio Gnesda) Con il titolo scelto da Marcio Miosi - Tholoi d’Italia – avente una connottazione archeologica, non bisogna aspettare d’imbattersi in uno studio sulle sepolture preistoriche ipogee circolari a volta in aggetto come il Tesoro di Atreo in Grecia o le Tombe reali di Los Millares in Spagna. Infatti, come specifica il sottotitolo – Trulli e capanne in pietra a secco con copertura a tholos -, si tratta invece di capanne in pietra a secco coperte da una cupola, dal greco tholos, plurale tholoi. Sembrerebbe che la moda di dare alla parola tholos un senso non archeologico abbia per origine un libro scritto da Edoardo Micati nel 1983 (1) : "Purtroppo in tutto ciò ho una parte di colpa, ci scrive, in quanto la mia prima pubblicazione sull'argomento (1983) aveva come titolo: Le capanne a tholos della Majella. Questo termine ha preso poi piede in Abruzzo, Marche, Molise, Lazio, Sicilia e ovunque è giunto il mio testo. Il termine piace perché è un termine "colto" e dà importanza a delle semplici capanne. Nelle leggi regionali poi trova una collocazione ideale poiché la modesta capanna prende una connotazione culturale che la rende maggiormente degna di considerazione". In circa 30 anni di conferenze e pubblicazioni ho cercato invano di estirparlo senza alcun risultato". Infatti nel suo libro Pietre d’Abruzzo uscito nel 1992, Edoardo Micati utilizza la parola tholos solamente nel contesto di un pozzo sacro e una capanna contemporanei ai nuraghi in Sardegna e non per l’architettura agropastorale in pietra a secco. Le parole viaggiano ed il senso e l’impiego delle stesse evolvono. É interessante notare che il termine trullo, trulli al plurale, anche lui presente nel titolo del libro, é l’italiano del termine dialettale truddu, che definisce la capanna in pietra a secco con volta in aggetto in alcune zone del Salento, derivante dalla parola greca tholos (2). Terminata questa puntualizzazione sulla terminologia, é importante sottolineare che Tholoi d’Italia é a tutt’oggi la prima sintesi sulle capanne in pietra a secco d’Italia, con un accento particolare sulle Puglie, terra privilegiata di studio dell’autore. Il lavoro di ricerca bibliografica e di documentazione, con l’utilizzo anche di internet, ha permesso all’autore di fare dei confronti di tipo tecnologico, storico e culturale inediti. Il libro é illustrato con fotografie in bianco e nero e quelle del capitolo sulle Puglie sono accompagnate da specifici commenti molto dettagliati. La versione elettronica offre foto a colori che, se ampliate al limite dello schermo del computer, sono di buona qualità. Il capitolo I (La capanna in pietra a secco con copertura a tholos) studia la volta in aggetto o tholos (3) dal punto di vista costruttivo. Il capitolo II (Origine del sistema costruttivo a tholos e delle
capanne in pietra a secco) passa in rassegna le differenti ipotesi
sull’origine della volta in aggetto per quanto riguarda le capanne in pietra a
secco: Il capitolo tratta anche il determinismo geografico-geologico e quello economico-culturale che hanno prevalso all’inizio del secolo XX nella spiegazione sull’origine e la diffusione delle capanne a secco con volta in aggetto. Un’altra spiegazione fornita é quella di una più grande economia nella costruzione della capanne al momento dell’espansione dell’agricoltura e della pastorizia in zone precedentemente marginali. Il capitolo III (Diffusione della capanna in pietra a secco con tholos in Italia (Puglia esclusa)) tratta le diverse regioni italiane, escluse le Puglie che fanno l’oggetto di un capitolo separato. Le regioni sono viste in maniera più o meno approffondita e cio’ non in funzione solamente dalla presenza reale di capanne a cupola in aggetto nel territorio ma anche dalla esistenza di pubblicazioni : cosi’l’Abruzzo, la Liguria, la Sardegna sono meglio trattate che la regione Toscana, Molise, Veneto ed il Friuli-Venezia Giulia. La presenza di schizzi e non di fotografie mostra che l’autore non ha effettuato indagini sul territorio per queste regioni. All’infuori delle Pulgie, e lo dice chiaramente l’autore ha fatto principalmente una ricerca bibliografica e d’archivio (4). Dispiace un po’ che nel capitolo non figurino le casite/kažuni dell’Istria, territorio a suo tempo italiano diventato parte della Repubblica Federativa di Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale e attualmente diviso fra la Repubblica di Croazia e di Slovenia, perché queste capanne sono state studiate (e lo sono tuttora) da autori italiani. In funzione dell’altimetria le capanne (caselle) della Ligura e del Piemonte si dividono in capanne prevalentemente pastorali, presenti nelle aree montane e collinari, e capanne agricole più in basso, costruite soprattutto all’interno dei muri di terrazzamento. La forma e le dimensioni delle caselle sono funzione dell’ubicazione geografica (costa / collina / montagna) e soprattutto dell’utilizzo che ne veniva fatto a partire dalle esigenze colturali del sito (viticoltura : costa, a ridosso del mare / olivicoltura : collina / pascolativo : montagna). Secondo la loro morfologia, le caselle si possono ragruppare in
tre tipi principali: In Lombardia, le capanne in pietra a secco si trovano nei boschi, nelle pietraie e nelle zone vicine alle sorgenti d’acqua, dal fondovalle fin oltre i 2000 metri. La loro funzione principale e primaria era quella di cellaio per la conservazione del vino e degli alimenti deteriorabili (verdure, formaggio, burro, salumi, ecc...) oltre che del latte, che era conservato in apposite conche di rame e refrigerato dalla presenza di fonti o ruscelli. Nelle montagne della Valtellina si trovano parecchie capanne in pietra a secco con volta in aggetto. Esteriormene esse presentano il tegumento di copertura formato da un selciato omogeneo e compatto. Il loro scopritore le ha classificate in tre gruppi posti a differenti
altitudini: la zona dell’alpeggio estivo, la zona dei castagneti e la zona delle
coltivazioni intensive a vigneto. In Friuli-Venezia Giulia, la capanna in pietra a secco con copertura a tholos si chiama hiška, ma é detta anche hišika, kutja, šišca, hišca, juta e koča- koća in sloveno locale. L’autore evita d’utilizzare la denominazione incorretta di casita per designare la hiška (5). Le capanne sono prevalentemente pastorali e di piccole dimensioni. Quelle più grandi e di struttura morfologica curata hanno anche la funzione di ricovero per attrezzi di uso agricolo. Ma contrariamente a quanto indicato, le hiške non si trovano in Friuli, alla frontiera con l’Austria, ma nella Venezia Giulia, il retroterra di Trieste, alla frontiera con la Slovenia. Sul versante sud-occidentale dell’Isola d’Elba sono ancora presenti circa una trentina di costruzioni in pietra a secco voltate a tholos note come caprili. Il nome deriva dal recinto circolare o ellissoidale chiuso in pietra a secco adiacente alla capanna e che serviva da punto di raccolta delle capre prima della mungitura e da ricovero per i capretti nel periodo dello svezzamento. Il caprile serviva da rifugio temporaneo e da capanna per la trasformazione del latte. Veniva costruito dai pastori stessi. La sezione sull’Abruzzo e le Marché é la più importante dopo le Puglie. Le capanne di questa regione sono state studiate da Edoardo Micati. Esse erano utilizzate specialmente dai contadini, ma anche dai pastori come laboratorio per la produzione del formaggio. Tali capanne sono state talvolta il nucleo inizale di una abitazione permanente.Sono note con il termine dialettale di caciara. Sul massiccio della Majella, l’area di maggiore densità e consistenza numerica, si chiamano pajarə (lett. pagliaio), altrove tirrunə (torri) e barracchə (6). La particolarità della Majella é quella di aver avuto dei lavoratori specializzati nella costruzione delle capanne. La classificazione comprende tre forme ( primaria, secondaria e derivata). L’articolo 1 della legge regionale n. 17/97 dice espressamente che la Regione Abruzzo, con la citata legge, intende perseguire una puntuale tutela del patrimonio storico-culturale ed ambientale rappresentato dalle capanne a tholos e dalle case di terra cruda. Le capanne con muratura a secco del Lazio si trovano generalmente ad alta quota e lungo la fascia pedemontana ma sono diffuse anche in pianura nelle zone di pascolo e lungo i percorsi di passaggio della transumanza. Venivano realizzate essenzialmente per attività legate alla pastorizia ma utilizzate anche durante i lavori agricoli. Sono costruite con pietre calcaree o conglomerati calcarei locali. In alcune capanne si trovano riutilizzati blocchi di epoca romana e medievale. Le capannne si sono sviluppate maggiormente nel secolo scorso con l’esigenza di disporre di nuove terre da coltivare e di nuovi pascoli. Nel Molise, le dimore temporanee si dividono in due gruppi: Nella Campania, nel Matese sono visibili piccole costruzioni in pietra a secco dette caselle. Di forma semisferica sono provviste di una piccola apertura orientata verso il sorgere del sole. Si trovano sporadicamente in altre aree marginali della Campania sotto forma di piccolo rifugio. Nella Basilicata, il continuo spietramento dei terreni realizzato dai contadini ha prodotto grandi quantità di materiale lapideo, smaltito in loco con la costruzione di piccoli edifici localmente noti come casili, di muri di cinta e opere di terrazzamento. La loro maggiore concentrazione si trova nella provincia di Matera.In Sicilia, I materiali impiegati nella costruzione delle capanne sono, secondo i casi, l’arenaria, la pietra lavica (Etna), il gesso, la pietra calcarea ed il tufo. Nelle campagne della Sicilia nord-orientale (provincia di Messina), si rinvengono costruzioni a tholos in localmente note come cùbburu, casotto oppure cubo o cuba (dall’arabo qubba “cupola”). Di modeste dimensioni, sono sparse su una fascia ad altitudini comprese tra gli 840 e i 1370 m sul livello del mare, in adiacenza a vie di comunicazione più antiche. Costruiti soprattutto nelle zone destinate a pascolo, i cubburi hanno servito da ricovero dei pastori. Sparse sui monti Iblei, in provincia di Ragusa, si trovano una decina di costruzioni in pietra a secco note localmente come muragghia. Sono dei semplici accumuli ordinati di pietra che hanno esternamente la forma di torre gradonata, di cilindro o di tronco di cono e sono munite di scale che conducono fino al terrazzo. Erano utilizzate come punto di osservazione del territorio circostante e rappresentavano un comodo punto di riferimento o un ritrovo. In Sardegna, la capanna in pietra a secco con copertura a tholos è diffusa in tutto il versante nord- est e centro-occidentale dell’isola ma é molto meno diffusa della capanna con basamento litico e copertura vegetale. Le capanne assumono denominazioni diverse a seconda da dove sorgono: pinnettu/a, pinnatzu, barraccu/a, cabane, cubone, turricula. In gran parte le costruzioni sono di aspetto assai modesto, con base e tetto ben distinti. Erano costruite soprattutto dai contadini e dai pastori locali adibendole a deposito degli attrezzi agricoli e a ricovero temporaneo. La quasi totalità delle capanne presenta una pianta circolare. Fra Fordongianus e Flumendosa la capanna a tholos circolare, barracca, risulta spesso inclusa o ricavata nei muri a secco e in questo caso il cono della copertura è notevolmente meno accentuato rispetto alle altre costruzioni. La barracca serve promiscuamente per pastori e guardiani dei raccolti. Il pietrame di spietramento dei terreni é stato accumulato nelle muraddinas, che si presentano come accumuli ordinati di forma diversa, circolari, oblunghe, ma anche rettangolari. Il capitolo IV (Diffusione della capanna in pietra a secco con tholos in Puglia) é il più grosso dell’opera (170 pagine). é suddiviso in 13 parti corrispondenti a 13 zone geografiche. Pur mettendo in evidenza il carattere unico dal punto di vista storico-culturale e tecnologico di Alberobello, quale città di trulli, la sezione sulla “Murgia dei trulli” sviluppa anche le tipologie e l’utilizzazione dei trulli rurali. Nella penisola del Gargano le capanne erano connesse sia alle attivita agricole, soprattutto nei terreni adibiti alle colture di ceci, fave, lenticchie, mandorle ed olive, che a quelle pastorali. Molte capanne sono abbinate a opere di terrazzamento. Edificio in pietra calcarea, il pagghiérə garganico è di forma grossolanamente circolare con un basamento massiccio e con copertura esterna dalla forma bombata realizzata con un manto di chiancarelle grezze Le dimore temporanee del Tavoliere di Puglia sono generalmente costruite in tufo o pietra con legante e copertura di coppi (caséddə). Di fattura grossolana, esse hanno spesso copertura fatta da materiale vegetale (pagghiérə di frasche).Nel Subapennnino Dauno le capanne in pietra a secco con copertura a tholos risentono della lenta colonizzazione agricola da parte dei contadini nord-baresi che avvertivano la necessità di un riparo e di un deposito per gli attrezzi e per i prodotti della terra. La tipologia ogivale è la più diffusa seguita rispettivamente da quella tronco piramidale. Le capanne sono molto alte (fino a 7 m ) e sono sempre dotate di scale esterne.
Nel comune di Barletta prevalgono le costruzioni a secco dalla forma primaria. Per garantirne una certa impermeabilità, la copertura muraria esterna viene ricoperta da un impasto magro di bolo (terra argillosa contenete de l’ossido di ferro) e sabbia. Il triangolo Andria-Canosa-Barletta possiede delle capanne (casèddə) a pianta rettangolare la cui tecnica costruttiva della tholos è leggermente diversa da quella diffusa in gran parte delle Puglie : due archi dividono la superficie utile in tre riquadri su ognuno dei quali viene costruita una volta.
Nella costa nord di Bari la capanna la più comune è sicuramente quella costituita da una sovrapposizione di tronchi di cono di diametro decrescente. Nel caso di divisione interna in due piani, essa è realizzata in travi di legno tra le quali è tessuto un piano di rami intrecciati. Le capanne gradonate sono realizzate soprattutto con il calcare di Bari ma, a volte, anche con il tufo delle Murge o con la calcarenite, e questo in base al substrato geologico su cui sorgono. Specie nelle aree più vicine alla costa, il paramento murario sia interno che esterno veniva intonacato col bolo e scialbato con più strati di latte di calce per garantirne l’impermeabilità e proteggerlo dalla corrosione salina. Le capanne a secco della zona costiera da Bari a Fasano sono ogivali. Esse hanno subito gli influssi stilistici anche dalla vicina Murgia dei Trulli. è prevista la possibilità di accedere sull’estradosso della costruzione per mezzo di conci sporgenti a mensola. L’uso dell’intonaco a base di bolo è generalizzato.
Da Andria a Grumo Appula. Nella Murgia di Bari si incotrano due tipologie: quelle “a tumulo” (ricoperte da sassi o terra e erba) e quelle cilindro-conica con copertura a chiancarelle (lastre di pietra di pochi centimetri di spessore). Le tipologie dipendono più da problemi di carattere economico-culturale che da aspetti geologici. La forma più comune di capanne in pietra alto-murgiane è quella primaria “a tumulo”. La gran parte di queste capanne presenta un anello litico esterno di accumulo nel quale sono state ricavate le scale di accesso alla copertura. Gli ambienti sono quadrangolari. Sono presenti delle nicchie che servivano come mangiatoie. Esistono anche capanne a forme cilindro-conica.
Da Laterza a Taranto, le casèddə o casieddi sono più frequenti nella zona intorno a Taranto, dove domina il terreno carsico. La copertura a forma di cono é stata impermeabilizzata con un impasto di malta. Spesso i manufatti a trullo del territorio di Taranto presentano le superfici interne completamente ricoperte da strati di latte di calce che hanno assunto la parvenza di intonaco.
Negli agri di Acquaviva delle Fonti-Turi e Terlizzi, sono sporadicamente diffuse, assieme alle più comuni capanne cilindro-coniche a base circolare, delle costruzioni con tetto a pignon e copertura a tholos "a tetto displuviato". La Murgia di sud-est o Murgia dei Trulli è l’unica area in Italia dove la capanna in pietra a secco con copertura a tholos, si è trasformata in una vera e propria abitazione permanente. Questa sub-regione pugliese è caratterizzata oltre che dal tipo di abitazione ricorrente (il trullo) anche dall’insediamento rurale sparso con costruzioni di tipo ibrido (capanna rettangolare con tetto terrazzato e trullo a fianco). Non ci soffermarmeremo su Alberobello, la città dei trulli, che é evidentemente trattata nel libro.
Da Fasano a Carovigno, le caseddə di quest’area sono costruite in tufo (detto "tufo bianco") che essendo facile a tagliare anche con la sega finché é fresco di cava, fornisce un materiale da costruzione che permette di eseguire strutture abbastanza snelle sia per il basamento che per la cupola. La casedda ostunese é costituita in generale da un unico ambiente ripartito però in tre o più spazi disposti in successione lineare. Lo spazio centrale è concluso con una calotta il cui estradosso si evince negli spazi esterni di inviluppo. Salento. Il tacco dello stivale presenta capanne in pietra a secco con copertura a tholos di notevole accuratezza nell’esecuzione. La maggior parte di quelle che si vedono nelle campagne sono state costruite nei secoli XIX e XX in concomitanza con il frazionamento dei latifondi e l’espansione della viticoltura. La densità varia fra i 30 a 80 esemplari per km2 e si trovano in quasi tutta la penisola salentina anche se ci sono delle zone dove la carenza di materiale adatto ha ostacolato la loro diffusione.
Sono in generale costruzioni di proporzioni rilevanti, di forma tronco-conica o tronco-piramidale alle quali viene affiancata spesso una specchia con funzione di contrafforte. La forma a terrazza permette inoltre di ricavare superfici adatte all’essicazione dei pomodori e dei fichi. Il capitolo su Le maestranze evoca la differenza fra i mastri trullari o caseddari, maestranze specializzate nella costruzione dei trulli spesso complessi ed evoluti, ed i paretari che si dedicavano a costruzioni più semplici. Nel capitolo Modalità costruttive delle capanne in pietra a secco pugliesi qualche foto o schizzi degli utensili, delle fasi di lavorazione e delle soluzioni riguardanti i metodi di costruzione ne faciliterebbero la lettura. Le note e i riferimenti ai vari siti web sono i benvenuti. Sarebbe però utile ragruppare in un paragrafo i siti che sono specifici all'architettura in pietra a secco (tipo CERAV, DRAGODID, ecc). Non c’é alcun dubbio che Tholoi d’Italia contribuirà a promuovere la conoscenza delle capanne in pietra a secco in Italia. Il libro é un mezzo indispensabile tanto per il ricercatore nuovo nel settore che per gli anziani, ai quali é mancata sino ad oggi una visione d’insieme estesa a tutto il paese. (1) Edoardo Micati, Le capanne a Tholos della Majella: censimento, schedatura e studio nei comuni di Caramanico : 1972-1982, 1983. (2) Cf. Benito Spano, La Murgia dei trulli, capitolo VII del La casa rurale nella Puglia, 1970, p. 184, nota 2. Trullo é esattamente la forma italiana della parola truddu (dal greco θόλος, plurale θόλοι, nome féminile significante "cupola"), con la quale in alcune zone del Salento (in una regione ben diversa dalla Murgia dei trulli), viene designata la varietà locale di capanna in pietra a secco con volta in aggetto, utilizzata unicamente come rifugio e costruita (....) sia a forma tronco conica che tronco piramidale). (3) L’autore ricorda che l’equivalente della definizione in francese coupole en encorbellement ed in inglese corbelled dome é molteplice in italiano: falsa volta, falsa cupola, pseudo-cupola, pseudo-volta, volta inerte (anche volta in aggetto). (4) Per le regioni a grande diffusione delle capanne, ed anche per la varie parti della Puglia, sarebbe stato comodo poter fare riferimento a delle mappe o cartine geografico-descrittive. Certo nel testo i nomi di tutti i villaggi, paesetti, cittadine, borghi, riferimenti, ecc.. a cui ci si riferisce sono citati, ma non é sempre facile rendersi conto di dove siano e quale sia la l’estensione della parte di territorio descritta e dove si trovano le capanne. (5) Egli segue in questo l’esempio del Prof. Tihana Fabijanić dell’Università di Fiume e dell’architetto e professore dell’Università di Lubiana Borut Juvanec. (6) Sarebbe utile indicare la trascrizione e/o il valore fonetico del segno “ə” delle parole caséddə, pagghiérə, ecc., adoperato per convenzione per indicare la schwa, ovvero l'assenza di vocale nelle finali di molte parole dei dialetti italiani meridionali intermedi.
ISBN 9788874701780, prezzo : € 19,00 ; disponibile in ebook sous www.bookrepublic.it/books/.../Marco%20Miosi/ PDF. (10.2 MB) , prezzo : € 9,90. © CERAV Référence à citer / To be referenced as : Sergio Gnesda, page d'accueil sommaire recensions
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