L'ARCHITECTURE VERNACULAIRE

 

 

 

ISSN 2494-2413

TOME 38-39

2014-2015

Marco Miosi

LE CAPANNE IN PIETRA A SECCO CON CUPOLA IN AGGETTO D'ITALIA

 

Riassunto

Scopo di questo articolo è lo studio descrittivo della capanna in pietra a secco con copertura in aggetto nelle diverse configurazioni formali che essa assume nella penisola italiana. L'analisi si concentra sulla descrizione delle varie tipologie e funzioni di questo tipo di edifici nel contesto rurale italiano (contemporaneo e recente). Più approfonditamente la ricerca si orienta nei riguardi delle tipologie pugliesi che raggiungono il grado massimo di diffusione e di complessità/funzionalità in Italia e in Europa. In Puglia, infatti, l’evoluzione storica recente ha permesso, nella subregione della Murgia di Sud-est, la trasformazione del trullo monocellulare a pianta circolare (semplice ricovero per uomini e animali e deposito degli attrezzi agricoli) nei complessi abitativi permanenti a pianta quadrangolare e pluricellulare che toccheranno il loro apice “evolutivo” nella città di Alberobello (BA). L'articolo è corredato da numerose fotografie che mostrano le differenti tipologie di capanna in pietra a secco con copertura in aggetto presenti nella penisola italiana, permettendo un riscontro visivo rispetto a quanto viene descritto nel testo.

Résumé

Le but de cet article est l'étude descriptive de la cabane en pierre sèche à voûte d'encorbellement sous les différentes formes qu'elle prend dans la péninsule italienne. L'analyse porte principalement sur la typologie et les fonctions de ce type de bâtiment dans le milieu rural italien contemporain et récent. Une attention toute particulière est apportée aux types des Pouilles, lesquels atteignent le plus haut degré de diffusion et de complexité et fonctionnalité d'Italie et d'Europe. Dans les Pouilles, en fait, l'évolution historique récente a vu, dans la sous-région de la Murgie du Sud-Est, la transformation du trullo à cellule circulaire (abri simple pour les humains et les animaux et resserre à outils agricoles) en complexe d'habitation permanente quadrangulaire et multicellulaire qui atteindra son sommet «évolutif» dans la ville d'Alberobello (province de Bari). L'article est accompagné de nombreuses photographies qui montrent les différents types de cabane en pierre sèche à voûte d'encorbellement dans la péninsule italienne, ce qui permet un retour visuel par rapport à ce qui est décrit dans le texte.

 

NDLR : Marco Miosi é l’autore della prima sintesi sulle capanne in pietra a secco con cupola in aggetto d’Italia. Il libro intitolato : Tholoi d'Italia. Trulli e capanne in pietra a secco con copertura a tholos é uscito nelle Edizioni di Pagina nel 2012. Una recensione, redatta da Sergio Gnesda, é stata pubblicata sul nostro sito. Su richiesta della nostra associazione, Marco Miosi ha accettato di redigere una sintesi mettendo l’accento sulla descrizione delle strutture aggiungendovi cartine descrittive e parecchie fotografie (esclusa la parte Regione Puglia già riccamente illustrata).

Le zone cerchiate indicano l’area diffusione della capanna in pietra a secco con copertura in aggetto in Italia.

Liguria e Piemonte

Nella Liguria occidentale e sporadicamente nel Piemonte sud-occidentale, si possono osservare innumerevoli costruzioni in pietra a secco con cupola in aggetto, comunemente note come caselle. Sono presenti soprattutto nelle aree montane ma anche in quelle collinari e costiere delle province di Savona e Imperia (si rarefanno tra Savona e Genova) e sono strettamente connesse con le attività agro-pastorali. In realtà il fenomeno della costruzione delle caselle si estende oltre i confini della Liguria: in alcune aree del basso Piemonte si trovano tuttora alcune capanne del tipo di sottofascia spesso ben conservate nei pressi di Ormea (in provincia di Cuneo).

Liguria

 

Piemonte

La costruzione della cupola in aggetto avveniva in genere dall’interno della costruzione, e soltanto la lastra terminale (ciappa) che chiude la copertura veniva posta dall’esterno. Esternamente, sopra la cupola, veniva disposto uno strato di pietrisco, con lo scopo di turare gli interstizi, e infine un rivestimento di terra argillosa su cui cresceva rapidamente un basso manto erbaceo, che assicurava un discreto livello di impermeabilità interna. La forma circolare è quella preferita fra le capanne liguri anche se potevano assumere pianta ellittica, quadrangolare, absidata e, in qualche raro caso, a sviluppo irregolare. A volte si trovano costruzioni con pianta circolare interna e profilo quadrangolare esterno. In alzato, la forma più diffusa è quella tronco-conica più o meno rastremata, oppure quella cilindrica, e solo raramente si riscontra il profilo gradonato o cupoliforme.

A partire dalle diverse sagome della pianta, si possono raggruppare morfologicamente le caselle in tre tipi principali: caselle a pianta circolare, caselle a pianta quadrangolare e caselle di sottofascia.

La tipologia a pianta circolare è tipica soprattutto delle zone di media altitudine, ed è caratteristica degli uliveti, ma può essere ritrovata anche nella zona a pascolo al di sopra dei 1000 metri (ad esempio sui prati del Pizzo d’Evigno). L’alzato esterno varia a seconda della copertura e prevede una forma tronco-conica o cilindrica oppure può assumere forma trapezoidale in sezione.

Le caselle a pianta quadrangolare sono, rispetto a quelle circolari, più frequenti nelle aree di montagna (si trovano in genere ad un’altitudine compresa tra gli 800 ed i 1200 metri) e possono assumere sia forma quadrata che rettangolare, con angoli vivi oppure arrotondati e, l’alzato, può essere di forma parallelepipeda o tronco-conica. Hanno un volume interno mediamente più ampio di quelle circolari e sorgono completamente isolate o, più spesso, semi-addossate ad una fascia del terrazzamento, ad una roccia affiorante o ad un rialto del terreno.

La tipologia di sottofascia, invece, è tipica della zona costiera e collinare essendo strettamente legata all’opera di terrazzamento che in passato ha interessato proprio le aree coltivate a ridosso del mare. Queste capanne sono dei semplici rifugi e depositi ad uso degli agricoltori, costruiti all’interno dello spessore di una fascia di terrazzamento in pietra a secco e hanno solitamente pianta a ferro di cavallo, anche se non mancano esempi a pianta quadrangolare. Un architrave monolitico, accompagnato o meno da sopraluce, costituisce la forma più comune dell' accesso alle caselle liguri. Raramente si riscontra l’apertura rastremata, a forma triangolare, che costituiva una soluzione ingegnosa nel caso in cui non si disponesse di architravi sufficientemente lunghi da coprire la luce dell’ingresso. Per gli stessi motivi, si era costretti a ricorrere alla volta in aggetto oppure all’arco bilitico, essendo l’arco romano (a differenza degli esempi pugliesi) praticamente assente dalle tipologie liguri e piemontesi per le maggiori difficoltà tecniche che questo richiede in fase di edificazione.

 

Casella a pianta circolare nei pressi di Chiappa.
http://www.liguriainside.it/it/2012/05/03/andiamo-a-fare-un-giro-in-bici/

 

Casella montana a pianta quadrangolare nei prati alle pendici del Monte Grande
© Paolo Gollo
http://www.architesi.polito.it/pdf/GolMor_IT.pdf.

 

Casella a due piani in località Ina Sorba (Provincia di Imperia). Fonte: Giorgio Fedozzi. http://www.centrostudiponentini.it/le_caselle_della_valle_steria.html

 

Casella di sottofascia in Località Rocca.
http://www.centrostudiponentini.it/le_caselle_della_valle_steria.html
 

Le caselle liguri possono inoltre essere suddivise in due tipologie in base alle dimensioni e alla complessità maggiore o minore con la quale sono state edificate: il tipo elementare e quello sopraelevato per interposizione di un soppalco ligneo. Le capanne della prima tipologia sono diffuse un po’ dappertutto, specie nelle aree di montagna ma hanno un’ampia diffusione anche nel finalese, e sono dei semplici depositi per gli attrezzi agricoli che potevano all’occorrenza ospitare uno o più agricoltori o pastori, ad esempio in caso di improvvisi temporali. Alcune caselle, meglio attrezzate, possono contenere nell’interno, dei grossi massi addossati alle pareti con funzione di sedili e delle nicchie adoperate come piccoli ripostigli di suppellettili e/o vivande. Il fuoco veniva acceso al centro della costruzione e per una migliore aereazione e tiraggio ascensionale la lastra terminale della capanna (dialettalmente nota come ciappa) veniva all’occorrenza rimossa. Le caselle della seconda tipologia, dotate di un piano sopraelevato, si trovano soprattutto nella Valle Steria, frammiste a quelle ad un solo livello. Quest’ultime sono più frequenti nelle coltivazioni prossime ai centri abitati e negli uliveti, e sono spesso incassate parzialmente o totalmente nei muri di fascia.

Lombardia e Canton dei Grigioni - Svizzera

In Svizzera, più precisamente nella valle di Poschiavo (Cantone dei Grigioni), sono presenti piccole capanne cupoliformi di forma primaria emisferica e di sottofascia, realizzate con pietre dure, grossolanamente lavorate, e simili nell’aspetto alle caciare abruzzesi della Montagna dei Fiori e ai caprili elbani. La costruzione è nota come cròt, crotto o grotto a Poschiavo e scelè nei pressi di Brusio oltre il Passo del Bernina.

Lombardie

 La funzione primaria di queste capanne, edificate in zone fresche, umide e ombrose (come i boschi, le pietraie e le zone vicine alle sorgenti d’acqua, dal fondovalle fin oltre i 2000 m.) per mantenere la temperatura bassa e costante e un certo grado di umidità durante tutto l’anno, era quella di cellaio per la conservazione del vino e degli alimenti deteriorabili (verdure, formaggio, burro, salumi e i pochi frutti che si raccoglievano in montagna), riposti in appositi scaffali e armadi all’interno, oltre che del latte, conservato in apposite conche di rame e refrigerato dalla presenza di fonti o ruscelli d’acqua.

La funzione secondaria dei crotti era quella di cucina, di rifugio o di abitazione temporanea durante la stagione estiva (molti di questi sono di notevoli dimensioni e strutturati su due piani), oppure ancora di stalla e fienile, e in questi casi venivano edificati in zone solatie, asciutte e aperte, come prati e pascoli, facilmente e rapidamente raggiungibili.

Casel del lacc in località Pra Campo a Tirano (Provincia di Sondrio).
fonte: Istituto Archeologico Valtellinese sito: http://digilander.libero.it/archeol/13Attivit%E0.html

 

Cassina della zona Baruffini a Tirano.
(Provincia di Sondrio).
fonte: Istituto Archeologico Valtellinese sito: http://digilander.libero.it/archeol/13Attivit%E0.html  

 

Baitèi della zona Briotti.
http://digilander.libero.it/archeol/13Attivit%E0.html

 

Crot in località Pescia Alta (Brusio, Valposchiavo).
© Dario Monigatti.
http://www.ilbernina.ch/?p=28646

Costruzioni simili ai crotti sono diffuse anche nelle limitrofe Alpi Retiche italiane, in una zona abbastanza definita che si potrebbe contenere (da sud a nord) tra il Passo del Mortirolo e il Passo del Bernina e, (da ovest a est) tra Bianzone e la sua montagna e una parte della Val Grosina. Sono note, quando hanno la funzione di capanno per la refrigerazione del latte (genericamente, casel del lacc), come cassine nella zona di Baruffini (fraz. di Tirano - SO) e del monte Masuccio (2816 m.) e tréle in Val Grosina, soprattutto nel ramo di Malghera, mentre il termine baitèi indica quelle capanne in pietra a secco adibite a deposito e/o ricovero temporaneo dei contadini alle quote di vigneto e castagneto, sempre in zona Baruffini, ma anche sopra Villa di Tirano (SO) e sopra Bianzone (SO).

Queste capanne, che possono essere di forma primaria emisferica (con o senza un breve basamento in muratura verticale di varia altezza e talvolta a base quadrangolare) oppure, più raramente, primaria ogivale (diffusa tra le costruzioni di maggiori dimensioni) con base circolare e di rado quadrangolare, presentano il tegumento esterno di copertura formato da un selciato omogeneo e compatto (risciùn), il pavimento per lo più in terra battuta ma a volte lastricato con grosse lastre (piode), ed emergono isolate dall’ambiente circostante, sebbene a volte siano addossate ad altre costruzioni o nascoste da un terrapieno, oppure si trovino inserite in una più ampia struttura muraria.

Possono essere raggruppate in tre insiemi posti a quote altimetriche diverse, tenendo conto della concentrazione, della tipologia e anche della presunta funzione originaria, e, di conseguenza, situati in zone con diverse destinazioni produttive: una zona di pascolo e fienagione estiva (maggengo) di media quota il primo gruppo, un’area di castagneto il secondo, un’area a vigneto intensivo il terzo.

Il primo gruppo di capanne si trova a circa 1050 m. e, la gran parte delle capanne in pietra a secco presenti nei maggenghi e (qualche volta) negli alpeggi di quest’area sorge su un piccolo corso d’acqua oppure racchiude una sorgente d’acqua perché la funzione è quella di casel del lacc, ossia di locale in cui far riposare e refrigerare il latte dopo la mungitura per potervi togliere la panna affiorante, in vista delle diverse lavorazioni casearie.

Il secondo gruppo, in cattivo stato di conservazione, si trova ad oriente dell’abitato di Baruffini, in una zona adibita a castagneto (attorno ai 750 m.), e presenta tratti più arcaici (pietre più grossolane e meno rifinite) rispetto alle capanne precedenti. Il basamento è per lo più quadrangolare e le costruzioni hanno la particolarità di avere la cupola in aggetto piuttosto ribassata (il colmo è però in quasi tutte sfondato) e di essere affiancate a due a due, come se si trattasse di edifici integrati con funzioni diverse. Probabilmente erano utilizzate come deposito di attrezzi e forse per accumulare temporaneamente castagne, o anche foglie secche per lo strame.

Il terzo gruppo, infine, si trova più in basso altimetricamente, sullo stesso versante delle capanne precedenti, poco sopra il corso dell’Adda, in un’area dedicata in origine alla coltivazione intensiva della vite, caratterizzata da un complesso sistema di terrazzamenti (murache) e verosimilmente adibite in origine a riparo o ricovero occasionale e temporaneo per i viticoltori, oltre che come ripostiglio per gli attrezzi di lavoro ed eventualmente per la conservazione, per un tempo limitato, di una parte del prodotto agricolo. Trattandosi di costruzioni erette in vigneti situati molto lontano dalla abituale residenza dei proprietari o dei lavoranti, è altamente probabile che venissero adoperati come ricoveri temporanei evitando in tal modo alcuni trasferimenti nel corso della giornata.

Riguardo alla datazione, è stata ritrovata una capanna, in val Grosina, con la data (milésem) del 1759 incisa sull’architrave e quindi, secondo molti studiosi, considerando i continui restauri e rifacimenti degli stessi edifici da parte delle maestranze locali, la gran parte di quelli ancora esistenti risale al XIX secolo o al massimo al XVII-XVIII secolo.

Friuli-Venezia Giulia

In tutta l’area del Carso, sia italiano che sloveno, si possono rinvenire diverse costruzioni in pietra a secco con cupola in aggetto, chiamate in sloveno locale hiška (pl hiške), ma anche hišika, kutja, šišca, hišca, juta e koča- koća (parole aventi tutte il valore di capanna o piccola casa).

Friuli-Venezia Giulia

Nel Carso triestino si rinvengono specialmente nel distretto sud-orientale e sono particolarmente concentrate nella zona compresa fra Banne/Bani, Trebiciano/Trebče, Fernetti/ Fernetiči e Gropada/Gropada, anche se non mancano nei territori circostanti Basovizza/Basovica, Padriciano/Padriče, Santa Croce/ Nabrežina Križ e Bristie/ Brišče. Più rare od occasionali vi figurano nelle località del basso Carso nord-occidentale, quali ad esempio Slivia/Slivno, Precenico/Prečnik, Malchina/Mavhinje, Ceroglie dell'Ermada /Cerovlje. Da notare che negli immediati dintorni a flysch terrazzati di Trieste, come nei coltivi di Contovello/Kontovel, Prosecco/Prosek, Roiano-Pischianzi/Pisčanci, Rio Storto, Log/Log, Lacotisce/Lakotišče, Monte Usello/Čelo e Monte d'Oro/Zlati Vrh, le hiške sono realizzate utilizzando pietra arenaria al posto di quella calcarea.

 
 

Hiška presso Trebiciano.
http://www.atrieste.org/download.php?id=983&sid=ed4e2ea33184cdbd38bfef1e160a641c

 

 

Gropada/Gropada : Hiška con volta in aggetto a carena / v zidu in previsevanje (velb).
© Boris Čok, 2009
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Le hiške erano costruite dai pastori e dai contadini carsolini, come ricoveri per la sorveglianza delle greggi e dei raccolti, nel caso di temporali improvvisi, per difendersi dalla forte bora e dalla calura estiva, per essere adoperate quali dimore temporanee per una notte nel periodo dello sfalcio o del raccolto o come ripostigli per gli attrezzi agricoli.

Nel costruirle veniva adoperato il materiale lapideo ricavato dallo spietramento dei campi e venivano erette isolatamente oppure poste all'interno dei muretti a secco (tipologia sottofascia), spesso alla confluenza fra essi. A volte sono state costruite all'interno di poderosi cumuli di spietramento oppure, eccezionalmente, costruite adattando cavità rocciose già presenti oppure ancora concepite e realizzate a livello sotterraneo.

Nella quasi totalità dei casi si tratta di strutture architettoniche monocellulari, molto semplici e piccole se confrontate con quelle sviluppate nella vicina Istria centrale e meridionale (casite / kažuni), che si presentano in forma cilindro-conica o secondo la tipologia « a tetto displuviato ». Inoltre nelle hiške quasi sempre vi è continuità fra le mura circolari e la cupola in aggetto, mentre nelle più evolute casite / kažuni istriane vi è una netta interruzione.

 La Pagnini aveva spiegato il loro aspetto più primitivo e la minore ampiezza a causa delle diverse condizioni geomorfologiche che propongono una diversa qualità e pezzatura del materiale litico, nel minor grado di « perizia » costruttiva ed in una economia più povera presenti, per l'appunto, nell'area carsica.  Nonostante ciò i costruttori locali hanno dimostrato una grande inventiva e una capacità di adattamento tali da utilizzare aperture naturali e basamenti calcarei preesistenti, che talvolta sono stati semplicemente racchiusi da una recinzione di muretti a secco.

La forma della hiške all'interno è generalmente circolare anche se raramente assume una perfetta forma circolare ma più spesso poligonale o subcircolare, mentre esternamente è rettangolare, quadrata (forma cubica o prismatica), circolare (forma cilindro-conica) oppure si riduce ad un ammasso informe di pietrame.

L'ingresso è in genere piuttosto basso - in media 1,50 cm (tra quelle del censimento di Polli la larghezza media è di 61 cm e l'altezza media di 103 cm) - per cui, per accedere alla costruzione, è quasi sempre indispensabile chinarsi; talvolta, fra l'entrata ed il vano centrale, esiste un corridoio più o meno lungo, che può risultare coperto o scoperto (tipici esempi sono quelli immediatamente a nord di Sgonico/Zgonik e nei pressi del Col dell'Agnello/Jarovca). Quasi sempre l'ingresso, generalmente rettangolare, è situato al riparo della bora, il freddo, violento e secco vento proveniente da est-nord-est, per cui le hiške offrivano un'efficace protezione anche in giornate estremamente ventose. Se l'orientamento dell'ingresso al riparo della bora non risultava possibile, veniva allora costruito vicino un muretto che fungeva da schermo. In qualche caso si nota, sovrapposta all'architrave (che spesso reca incisa una croce con valore apotropaico), una lastra calcarea più sporgente, lunga e sottile, con funzione di para-pioggia, mentre raramente sulla lastra terminale, che poteva essere rimossa consentendo al fumo di uscire all'esterno, veniva posto un pinnacolo/stažić [*] ristretto all'apice (simile al pimpignòl/pinčuk della casita / kažun istriana).

Il vano interno, che può essere di dimensioni variabili (tra le 27 indagate dal Polli la larghezza media interna è di 132 cm, la profondità media è di 150 cm e l'altezza interna media è di 160 cm), è spesso provvisto di alcuni massi squadrati, talvolta di considerevoli dimensioni, appoggiati al muro, che servono da rudimentali sedili, più comodi dell'ammasso di sassi presenti nella maggior parte dei ripari. A volte esso può pure presentare qualche nicchia (slepo okno) utilizzata per sistemare oggetti di piccole dimensioni. In qualche raro caso, come a Trebiciano/Trebče, Fernetti/Fernetiči e Gropada/Gropada, esistono nel vano interno delle aperture a forma di finestra, le spie/majhno okno, utili per osservare il circondario così da sorvegliare raccolti e greggi. Il pavimento a volte può essere ricoperto da lastre di pietra calcarea oppure più semplicemente è formato dal basamento litico affiorante o da un battuto di terra.

Riguardo alla datazione, stando alle testimonianze locali, il periodo di costruzione delle hiške si dovrebbe riferire a non prima del XIX secolo: due capanne individuate dal Polli nel Carso triestino recano delle date incise sulle pietre dell'ingresso (una il 1906 e l'altra il 1924). Oggi le hiške non più utilizzate come ricovero temporaneo, sono state destinate in tempi più recenti al deposito di attrezzi fungendo da precario riparo solo in casi estremi.

[*] Stažić: parola dello sloveno del Carso/Kras contrazione di staro žit. Pinnacolo non autoctono, introdotto quale decoro del tetto delle capanne agro-pastorali in pietra a secco e cupola in aggetto - kamnite pastirske hiške - del Carso/Kras come similitudine con il pimpignol/pinčuk delle casite/kažuni di Dignano d’Istria/Vodnjan (Nota di S. Gnesda).

Toscana (Isola d’Elba)

Sul versante sud-occidentale dell’Isola d’Elba, sparsi sui rilievi granitici del massiccio del Monte Capanne (1019 m.) ed in quello del Monte Perone (690 m.), sono ancora presenti circa una trentina di costruzioni in pietra a secco voltate con il sistema della cupola in aggetto.

Localmente sono note come “caprili” (dal latino caprīle “stalla per capre”, da căpĕr “capro”), in quanto, adiacente alla capanna-rifugio del capraio, è quasi sempre presente un recinto circolare o ellissoidale in pietra a secco (chiuso), che serviva da punto di raccolta delle capre prima della mungitura e da ricovero per i capretti nel periodo dello svezzamento, per tramite di un basso e lungo ambiente coperto (sempre con pietre a secco), aperto verso l’interno del recinto circolare e con il corpo protruso verso l’esterno, chiudibile a piacimento dal pastore con lastre di pietra o rami (grigoli).

Toscana (Isola d’Elba)

I caprili più completi si strutturano generalmente secondo una forma primaria ogivale e nei casi in cui l’altezza della capanna non eccede di molto la larghezza della stessa si può parlare anche di forma primaria decadente.

In alcuni casi, come avviene di frequente anche nelle capanne pastorali abruzzesi e garganiche e nei grot svizzeri, i caprili si appoggiano al declivio della montagna o a grossi massi con il doppio scopo di risparmiare lavoro e di isolare meglio il riparo; tutto ciò comporta l’abbandono della pura forma primaria ogivale o decadente verso forme irregolari che si adattano alla conformazione geologica dei luoghi naturali.

Altra caratteristica morfologica è la presenza del sopraluce o nicchia di scarico, posto sopra l’architrave, che aveva la funzione di distribuire lungo i piedritti di ingresso il peso della cupola secondo soluzioni adottate, anche altrove, nelle costruzioni a secco.

Internamente lo spazio è estremamente angusto e spartano, dotato a volte di piccole nicchie con funzione di ripostiglio, e doveva essere articolato in modo da consentire l’occasionale riposo notturno del capraio e la contemporanea veglia delle greggi che dormivano all’addiaccio ad una certa distanza dal caprile e potevano così essere meglio controllate, senza dover uscire dalla capanna, grazie ad un piccolo finestrino aperto nello spessore della muratura.

Il caprile, però, era adoperato soprattutto durante il giorno, specie nei periodi di maggiore produzione lattea, come rudimentale caseificio per la lavorazione del latte, producendo caprini freschi e ricotte che venivano giornalmente trasportati a dorso d’asino e smerciati nei paesi limitrofi dalle donne di S. Piero in Campo. In posizione centrale, all’interno del caprile, veniva acceso il focolare, circondato da pietre, su cui veniva issato il caldaio di rame, e il fumo, in assenza di canna fumaria, doveva necessariamente fuoriuscire dall’ingresso (sempre privo di porta) e dalle connessure della muratura. L’accesso è sempre orientato in modo da poter essere riparato dai venti predominanti del luogo.

Caprile con chiuso e grigoli in località Monte Cenno  presso Seccheto (Campo nell'Elba).
http://www.elbaexplorer.com/foto_panoramiche_isola_d'elba/Monte-Cenno.asp

 

Caprile in località Le Macinelle presso Seccheto
(Campo nell'Elba).
http://www.elbaexplorer.com/foto_panoramiche_isola_d'elba/Le-Macinelle.asp
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Grottone presso Seccheto (Campo nell'Elba).
http://www.elbaexplorer.com/foto_panoramiche_isola_d'elba/Il-Grottone.asp

 

Caprile sottoroccia in località Pietra Murata presso Seccheto (Campo nell'Elba).
http://www.elbaexplorer.com/foto_panoramiche_isola_d'elba/Pietra-Murata.asp.

La distribuzione dei recinti indica la presenza di stanziamenti fissi; il loro numero e la loro concentrazione ci dice che la pastorizia ebbe un ruolo importante per l’antica economia elbana, attività che si svolgeva sempre nelle aree marginali (troppo pietrose ed erose per poter essere adibite ad altra destinazione produttiva) al di sopra dei 300 m., limite locale della linea delle colture (vigneto specialmente, ma anche seminativo nudo).

Abruzzo e Marche

In Abruzzo e nelle Marche meridionali (provincia di Ascoli Piceno), è possibile rinvenire numerose capanne in pietra a secco costruite e fruite specialmente dai contadini ma anche dai pastori.

Sui Monti della Laga e sulla Montagna dei Fiori, nella zona di confine tra le province di Teramo e di Ascoli Piceno, sono note con il termine dialettale di caciara. Nel resto dell’Abruzzo (specie sul massiccio della Majella, a Roccamorice), invece, sono denominate pajare (lett. “pagliaio”), nelle varianti di pagglīare (a Campo di Giove) e di pajare de prete (a Pretoro). A Serramonacesca, invece, sono chiamate tirrune e a Decontra barracche.

Abruzzo

 

Marche

Seguendo il Micati, uno dei più grandi studiosi di costruzioni in pietra a secco abruzzesi, che ha avuto anche il merito di effettuarne un accurato censimento, cinque sarebbero le aree di diffusione della pajare/caciara in Abruzzo: Majella, Villa S. Lucia, Paganica, Colle Alto e Montagna dei Fiori. La Majella, il Gran Sasso meridionale e la Montagna dei Fiori sono le macroaree a maggiore densità.

Le capanne censite non appartenenti a nessuna delle cinque aree di diffusione sopra indicate, vengono registrate dal Micati come presenze minori: Val Maone e S. Stefano di Sessanio (Gran Sasso), Roio (L’Aquila), Pennapiedimonte e Lettopalena (a sud della Maiella), Monte Pallano (a sud del fiume Sangro) e, per finire, Castiglione Messer Marino/Schiavi d’Abruzzo (ai confini con il Molise). In queste aree cosiddette “minori”, le capanne a secco sono di modeste dimensioni e tecnicamente piuttosto rozze, tipologicamente classificabili nella forma primaria decadente. Di sicuro l’area di maggiore complessità costruttiva e di maggiore densità e consistenza numerica si riscontra sul massiccio della Majella (comuni di Caramanico, Lettomanoppello, Rapino, Pretoro, Roccamorice, Serramonacesca e Abbateggio).

L’eccezionalità della Majella può essere spiegata considerando l’abbondanza del materiale litico, la distanza dal paese e l’instaurarsi in quest’area, a partire dal primo ventennio del XIX sec., grazie alla stesura del catasto provvisorio e in seguito alla crisi della pastorizia accompagnata da un incremento demografico, di una vera e propria colonizzazione agricola della media e alta montagna, da cui la necessità di spietrare il campo coltivato, di accumulare le pietre nel minor spazio possibile e di costruire rapidamente ed economicamente un riparo/deposito per gli attrezzi agricoli, che potesse, tra l’altro, far valere i diritti di proprietà da parte del colono/costruttore a secco nel più breve tempo possibile.

Se, però, simili fenomeni di colonizzazione agricola e di costruzione di capanne elementari da parte degli stessi agricoltori conduttori del fondo si sono verificati in più parti della montagna abruzzese, la peculiarità della Majella sta nell’evolversi in quest’area di vere e proprie “tradizioni costruttive”, che portarono alla nascita di maestranze specializzate nell’edificazione delle capanne in pietra a secco.

Seguendo la classificazione morfologica del Micati, le capanne a secco abruzzesi possono essere distinte in dieci diverse tipologie.

La forma primaria ogivale include capanne più grandi e più stabili della media (data da quelle primarie decadenti). L’area dove si rinvengono in percentuale maggiore è quella che comprende i pascoli della Majelletta e i boschi di Passolanciano dove fino a 1400 metri si rinvengono molte capanne isolate e di piccole dimensioni costruite dai contadini di Pretoro. È probabile un legame fra questa forma e la maggiore altitudine connessa a sua volta con una maggiore nevosità e piovosità: le pareti quasi verticali e la scarsa superficie della copertura in sommità eviterebbero il pericolo di un eccessivo accumulo nevoso (pericolo che potrebbe verificarsi, al contrario, nel caso di capanne a gradoni).

La forma più frequente (oltre il 70%) in Abruzzo è, però, quella primaria decadente che interessa le piccole e medie capanne legate ai fondi agricoli. È molto elementare e rozza e denota l’assenza di maestranze specializzate dal momento che costituiva il piccolo ricovero che ogni contadino edificava sul proprio campo appena spietrato. La pietra non veniva per nulla lavorata se non negli stipiti d’ingresso con una grossolana sbozzatura e spesso le limitate capacità tecniche non permettevano di superare certe dimensioni. Le capanne di questa tipologia non hanno un profilo regolare e ben definito (non vi è distinzione tra pareti e copertura) in quanto, sulla parte sommitale e lateralmente, veniva ammassato alla rinfusa il materiale litico minuto periodicamente rimosso dal campo coltivato.

La forma secondaria cilindro-conica è discretamente presente in Abruzzo ma non si presenta ben definita e regolare come negli esempi molisani di Agnone o nelle casite / kažuni istriane. La copertura, salvo rare eccezioni, è decadente e si distacca in maniera poco evidente dal cilindro di base. L’area dove si rinvengono in percentuale maggiore queste costruzioni cilindro-coniche è quella che comprende il vasto crinale che parte dai Piani di Tarica e giunge nei pressi di Lettomanoppello e Serramonacesca (zona a massima densità di capanne a secco abruzzesi e a vocazione prevalentemente agricola) e sugli altipiani di Decontra (comuni di Caramanico e Abbateggio, in un’area anch’essa agricola). Una forma piuttosto rara da riscontrare in Abruzzo è, di sicuro, quella secondaria a tronco di cono che, però, si discosta abbastanza dagli esempi salentini terminanti a terrazza piatta e caratterizzati da profili molto più eleganti ed armonici. Negli esemplari abruzzesi, le pareti si elevano a tronco di cono fino ad una certa altezza e lo spazio rimasto viene chiuso dalla consueta cupola in aggetto decadente.

Da una descrizione lasciataci dall’esploratore e alpinista Giovanni Chiarini, veniamo informati dell’esistenza di alcune capanne della Majelletta realizzate secondo la tipologia a tronco di piramide che però non è stata più rilevata dal Micati e può dirsi scomparsa dall'Abruzzo.

La forma secondaria a gradoni è la seconda per numero (dopo quella primaria decadente) e interessa le capanne più grandi ma si trovano esemplari anche di medie dimensioni. Il numero dei gradoni (da 1 a 4), larghi da 30 cm a 1 metro, favoriva, secondo l’ipotesi del Micati, la costruzione di grandi capanne in quanto offriva la possibilità di lavorare comodamente sfruttandone i piani come appoggio e impalcatura in fase costruttiva.

Una forma distintiva, propria di alcune capanne di medie dimensioni dell’Abruzzo, è quella a gradone elicoidale nel quale l’unico gradone sale a spirale fino a circa 3/4 della capanna partendo dal terreno o dal contrafforte di base. Le capanne a gradoni venivano utilizzate soprattutto come stalle e fienili, specie se costituivano l’appendice agro-pastorale di una casa rurale sparsa, e sono spesso dotate di un piano superiore ricavato tramite l’inserimento, a circa due metri da terra, di grossi pali lignei all’interno di fori ricavati nello spessore della muratura interna; su di essi veniva poi fissato un tavolato che creava un utile soppalco ligneo su cui deporre la paglia e che poteva costituire un comodo ricovero notturno per il proprietario della capanna. L’accesso al piano superiore, come nei caselùi liguri e nel “Trullo di Papa Fedele” in territorio di Patù (LE), avveniva tramite un ingresso raggiungibile dal gradone, dal terreno retrostante o dal muro dello stazzo; in altri casi, invece, laddove non esiste un ingresso superiore, l’accesso avveniva dall’interno con una scala a pioli attraverso una botola o attraverso una parte dell’area lasciata scoperta, così come avviene nei trulli della Murgia di sud-est.

La più grande capanna d’Abruzzo è, non a caso, una capanna a gradoni, costruita da maestranze specializzate nel complesso di Valle Giumentina (Majella).

C’è anche un rarissimo esempio di capanna a tre piani, l’ultimo dei quali adibito a piccionaia.

La più rara, tra le forme che si rinvengono in Abruzzo, è di sicuro quella derivata a pianta quadrata. Non si sono mai rinvenute in queste costruzioni le mensole d’angolo o i peducci d’imposta (tipici di molte capanne quadrangolari pugliesi, spagnole e irlandesi), con funzione di sostegno della cupola in aggetto, ma in questo caso il raccordo tra base e copertura viene realizzato gradualmente come in molti esempi di casèdde pugliesi meno rifinite.

Al terzo posto, in una ideale classifica delle tipologie più diffuse in Abruzzo, troviamo la capanna sottofascia che, come negli esempi liguri, viene ricavata all’interno delle mura di contenimento dei campi coltivati, nelle grosse macere e nei declivi. Veniva costruita, come nella Francia pirenaica (guérite) o in Liguria, all’atto dell’edificazione delle mura di terrazzamento e ha una pianta irregolare e dimensioni ridottissime tanto da poter ospitare, in genere, un solo individuo per volta. L’area dove si rinvengono in percentuale maggiore è quella di Paganica (località Cornella e confinanti), nell’aquilano, dove la messa a coltura della media montagna si accompagna ad una notevole densità di capanne, spesso ricavate nei muri a secco di recinzione o nelle grosse macere. Alcune di esse sono dei minuscoli ripari ove a stento può trovare posto un uomo rannicchiato.

Un’altra zona di diffusione della capanna sotto fascia è quella di Villa S. Lucia, caratterizzata da piccole capanne costruite dagli agricoltori al margine dei magri campi terrazzati, e, in parte, quella della Majella e della Montagna dei Fiori.

Forma primaria decadente.
© E. Micati.

 

Forma primaria ogivale.
© E. Micati.

 

Forma secondaria tronco-conica.
© E. Micati.

 

Forma gradonata in una pajara-fienile della Majella.
© E. Micati.


 

 

Complesso agro-pastorale.
© E. Micati.

Da una serie di dati, considerando che la gran parte delle capanne abruzzesi è stata costruita nella prima metà del XX sec., possiamo ipotizzare una introduzione tardiva (attorno alla prima metà del XIX sec.) da parte dei pastori abruzzesi che, di ritorno dalla Puglia (area tipologicamente ricca di costruzioni in pietra a secco), hanno iniziato ad adoperare tale tecnica per la copertura delle loro capanne e soprattutto hanno prestato le loro conoscenze al servizio delle comunità locali con l’edificazione di complessi agro-pastorali e di capanne agricole, dando inizio, così, (specie in alcune aree della Majella) a delle vere e proprie tradizioni costruttive tramandate di generazione in generazione.

Le caciare marchigiane della Montagna dei Fiori (Ascoli Piceno) sono molto simili a quelle del versante abruzzese e di recente sono state studiate dal Cappelli, che individua 3 tipologie : caciare cuspidate e emisferiche (ad uso pastorale) e caciare sottofascia (ad uso agricolo).

Lazio

Nella Ciociaria (Lazio), come ci informano Mastroianni e Simone, gli impianti con muratura a secco, si trovano generalmente ad alta quota e lungo la fascia pedemontana ma sono diffusi anche in pianura nelle zone di pascolo e lungo i tratturi e i percorsi di passaggio della transumanza.

Nella Valle del Liri, venivano realizzati essenzialmente per attività legate alla pastorizia ma vi si svolgevano anche lavori agricoli, esercitati per lo più dalle donne e dagli anziani che non si spostavano per il pascolo.

A Terelle e Sora, così come nei vicini Abruzzo e Molise, nel periodo estivo vi si trasferivano intere famiglie che, oltre a gestire il gregge nell’intorno, si occupavano della coltivazione stagionale di interi appezzamenti di terreno.

Lazio

Sono costruite con pietre calcaree locali o conglomerati calcarei, grandi agli spigoli, sul fondo e negli stipiti irregolari o sbozzati, dalle dimensioni che variano dai 20 ai 40 cm. In alcune capanne si trovano riutilizzati blocchi di epoca romana e medievale, con spessori delle pareti di 50-70 cm fino a 110.

La loro forma varia da quella circolare-cilindrica semplice o a gradoni a quella tronco-conica, da quella rettangolare a quelle più rare ellittica e absidata, senza che sia possibile dare un ordine cronologico delle diverse morfologie. Le forme circolare e quella rettangolare o meglio quadrangolare sono le più diffuse. Volumetricamente, le capanne a pianta circolare diventano in alzato cilindriche e più raramente tronco-coniche, mentre, le capanne a pianta rettangolare assumono o una copertura a una falda o una copertura a due falde.

In alcuni casi, come a S. Vittore, si è rilevata la presenza di una scaletta a mensola, costituita da pietre più grandi che sporgono dalla sommità conica, inserita per la manutenzione della copertura, che necessitava periodicamente della risistemazione o della sostituzione di alcune pietre.

 Secondo quanto afferma lo Zambardi, le costruzioni a secco ciociare si sono sviluppate maggiormente nel secolo scorso, quando l’esigenza di terre da coltivare e di nuovi pascoli hanno spinto l’uomo alla ricerca e messa in coltura anche di aree boschive, anche se a vedersi alcune di esse sembrano molto più antiche. È indubbio tuttavia che la tecnica di costruzione di questi ripari montani scaturisca da quella utilizzata per la costruzione dei trulli pugliesi e che molto probabilmente sia stata importata in zona dai pastori transumanti.

Vari sono i nomi dati a queste costruzioni, tra cui i più comuni risultano essere pagliare, caselle, trulli o anche mandra, che deriverebbe da mandria, nel significato di stalla con recinto.

Pagliara presso S. Vittore del Lazio, Monte Sammucro.
http://www.soramigliore.com/index.php?option=com_content&task=view&id=22&Itemid=28

 

Pagliara della Valle del Liri (Sora).
http://www.soramigliore.com/index.php?option=com_content&task=view&id=22&Itemid=28.

Molise

Come ci informa il Cataudella, in Molise l’insediamento temporaneo è legato essenzialmente allo sfruttamento dei pascoli montani, dove l’attività armentile conserva un’importanza predominante, nonché alla coltivazione dei campi in aree di accentuata rarefazione di popolazione sparsa e di polverizzazione fondiaria.

Molise

La dimora temporanea presenta caratteristiche del tutto diverse a seconda dell’economia rurale locale.

Le capanne dei pecorai sono costruite essenzialmente con pietra a secco ed hanno pianta circolare o quadrangolare e copertura di lastre poggiata talvolta su rudimentali impalcature di legno. Ma assumono anche forma differente in dipendenza del materiale da costruzione usato.

La capanna unicellulare trulliforme, ampiamente descritta dal Gambi, è diffusa entro i limiti altimetrici delle colture (tra i 700 e gli 850 m) in una fascia che da Poggio Sannita si estende fino a Castiglione Messer Marino in territorio abruzzese, con massima densità in agro di Agnone, Villa Canale e Belmonte. Si tratta di capanne a base cilindrica e tetto conico in lastre di pietra ad uso dei pastori che praticano la monticazione.

Pagliara in agro di Vastogirardi (Isernia).
http://www.flickr.com/photos/molisealberi/3104503742/

 

 

Pagliara in agro di Capracotta (Isernia).
© E. Micati.

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Campania

Sui pascoli che abbondano su tutto il territorio del Matese sud-orientale (Campania), come ci informa il Fappiano, sono visibili piccole costruzioni in pietra a secco (profonde più di due metri e alte non più di un metro e ottanta), localmente dette caselle.

Campania

Fino al 1700 su questo vasto territorio, fatto di vastissimi pascoli, incidevano oltre un milione di animali, tra pecore, capre e mandrie di mucche e cavalli, perché queste montagne erano attraversate da tratturi (le antichissime strade della Transumanza). Venivano utilizzate dai pastori prevalentemente come ricovero o come piccolo deposito nei periodi estivi, quando le greggi erano all’alpeggio. Erano abbandonate allorquando, alla fine dell’estate, bisognava trasferire le greggi verso la Puglia per lo svernamento.

Hanno una forma semisferica e sono provviste di una piccola apertura orientata a sud-est (verso il sorgere del sole) che obbliga, a chi entra, a chinarsi. Talvolta, ma raramente, possiamo incontrare complessi di due o tre caselle adiacenti l’una all’altra ma mai comunicanti.

Sul territorio troviamo anche tracce di costruzioni in pietra a secco: antichi ovili (spesso di importanti dimensioni), muri di contenimento, terrazzamenti e argini per i ruscelli per contenere la forza prorompente corrente dell’acqua primaverile figlia dell’abbondante neve che si scioglie ai primi caldi.

 

Casella del Matese sud-orientale.
http://pinucciofappiano.wordpress.com/2013/02/23/caselle-e-pannizze-pietre-viventi-sul-matese-sud-orientale/

 

 

Pagliarulo del Monte S. Costanzo.
http://www.massalubrense.it/scostanzo.htm

La capanna in pietra a secco con cupola in aggetto, sotto forma di piccolo rifugio (forma primaria decadente), ricompare sporadicamente in altre aree marginali della Campania, specialmente collinari e pietrose, come ad esempio sul versante sud-occidentale del Monte S. Costanzo (480 m) nell’estrema propaggine della penisola sorrentina, dove viene chiamata localmente pagliarulo.

Basilicata

La Basilicata costituisce il limite meridionale della diffusione delle costruzioni a secco con cupola in aggetto nell’Italia continentale, diffusione che doveva essere molto più ampia nella zona poiché in molte aree si rintracciano grandi cumuli di pietre prodotti dal crollo di manufatti analoghi. La maggiore concentrazione si ha nel territorio di Montescaglioso (provincia di Matera), dove nel corso dei secoli, il continuo spietramento dei terreni realizzato dai contadini nelle campagne limitrofe, ha prodotto grandi quantità di materiale lapideo, smaltito in loco con la costruzione di diversi manufatti, piccoli edifici e muri di cinta eretti a servizio del fondo rurale.

Basilicata

Come ci informa il Caputo, a Murgia S. Andrea nei pressi della masseria Pardo, sono presenti due costruzioni, delle quali una crollata, localmente note come casili (da casale). L’unico edificio ancora superstite è costruito interamente a secco. All’esterno presenta una pianta quadrangolare con gli spigoli smussati che nell’interno di trasforma in un ambiente circolare sul quale si sviluppa la calotta di copertura. Questa è stretta da cordoli in pietra a secco che ne contengono le spinte e si chiude con un coronamento a cuspide. All’interno c'é un notevole camino in pietra ed all’esterno si trovano scale a secco per salire sulla copertura.

Un’altra tipologia di costruzioni con pietra a secco si rintraccia sul versante occidentale della collina di Montescaglioso lungo la Carrera, nella Sterpina, S. Agata e S. Agnese. Sono costruzioni a pianta circolare o quadrangolare con copertura realizzata a volta o in canne. Il materiale da costruzione è costituito da pezzature non squadrate di arenaria, raccolte in loco e assemblate a secco o con argille appena umide.

Con la stessa tecnica sono realizzati anche molti forni rurali utilizzati per l’essiccatura di fichi e mandorle. L’alzato è molto caratteristico. Esistono forme a cono rovesciato; cilindri intersecati con una calotta o una cupoletta; semisfere direttamente poggianti a terra.

L’elemento più suggestivo è costituito da un gruppo di costruzioni circolari con un diametro compreso tra i 3 ed i 5 metri aventi muri relativamente sottili con una copertura molto leggera (da qui il dimensionamento dei muri) formata da una serie concentrica di coppi leggermente inclinati che si raccorda in sommità.

Le costruzioni a secco dell’agro di Montescaglioso richiamano le tipologie di casèdde diffuse nei limitrofi comuni pugliesi di Laterza (TA) e di Ginosa (TA), le quali, come vedremo in seguito, sono caratterizzate dalla tendenza a mantenere le generatrici inflesse e dall’uso della scialbatura a latte di calce anche negli esterni.

Sporadicamente capanne con cupola in aggetto riaffiorano nel territorio lucano, come ad esempio nel caso dei due pagliai di Acerenza (in provincia di Potenza), siti lungo la strada vicinale Laghi e Felci in contrada Difesa Laura e localmente noti come li pagliare lu preute brotte (lett. “i pagliai del monaco brutto”).

Secondo il Tiri, la costruzione dei cosidetti trulli di Acerenza, risale al 1864 come risulta dall' iscrizione incisa nella pietra. Il trullo parte con una pianta su base quadrata. Le porte di accesso sono sempre orientate ad est con doppio arco. Ogni trullo ha la sua porta d’ingresso un po’ sollevata dal piano campagna e il piano del pavimento in terra battuta è sottoposto in modo da evitare che vi entrino i serpenti. I due trulli sono stati costruiti affiancati senza porta interna di comunicazione.

Nei trulli di Acerenza il pinnacolo come elemento decorativo manca. Al suo posto vi è un’apice, cioè una piccola apertura di circa cm 20x20 per fare uscire il fumo prima della successiva costruzione di un focolare in cotto. Il fondale del focolare è costituito dalla nuda roccia tufacea che resiste bene al fuoco. Per fare uscire il fumo del focolare si è praticato un foro che esce al piano del terreno naturale del bosco. Ciò ci dice che il focolare è stato costruito in epoca più recente. La finta cappa con la sua parte aggettante è stata realizzata in mattoni di argilla messi in opera con malta di calce viva e poggia su due pietre sporgenti sostenute da due colonnine in pietrame con malta.

 

Pagliari di Acerenza.
http://wiki.acerenza.info/images/3/3f/Trulli_8.gif

Sicilia

La capanna in pietra a secco con cupola in aggetto compare in Sicilia in diversi punti sebbene non raggiunga la varietà tipologica e la densità della Puglia, dell’Abruzzo e della Liguria. Le tre aree di maggiore diffusione sono i monti Nebrodi-Peloritani, le pendici dell’Etna e i monti Iblei. Aree “minori” possono essere considerate il trapanese (ad esempio Salaparuta), le colline gessose a occidente del fiume Platani fino al confine tra le province di Caltanissetta e Agrigento (Mussomeli, Campofranco) e l’ennese.

Naturalmente, sebbene la tecnica costruttiva si mantenga più o meno costante in tutta la regione, le variazioni più significative si hanno nei materiali impiegati che sono tra i più vari: dall’arenaria (specie nei monti Nebrodi) alla pietra lavica (Etna), dal gesso (nisseno) alla pietra calcarea (monti Iblei), al tufo (trapanese).

Sicilia

 

 

 

Pagghiaru ‘n petra presso Bronte.
http://www.wrlspace.it/galleria/albums/userpics/10001/a01%20Monte_Inchiuso.jpg

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Cupolo presso Mussomeli (CL).
http://www.fotografieitalia.it/foto.cfm?idfoto=51435&citta=mussomeli&idfotografo=2659

 

 

 

 

Muragghia in contrada Maurino presso Ragusa

http://www.sicilianticaragusa.it/

 

 

Nelle campagne della Sicilia nord-orientale (provincia di Messina), si rinvengono una serie di costruzioni con cupola in aggetto in pietra a secco localmente note come cùbburu/cubburo nel dialetto di Montalbano Elicona, casotto in quasi tutta la provincia di Messina oppure cubo o cuba (dall’arabo qubba “cupola”).

Si trovano a distanze irregolari, in gruppi anche non contigui, spesso vicini fra loro od in allineamento, specialmente su quei colmali dei monti Nebrodi in territorio di Montalbano Elicona (Monte Castellazzo), San Piero Patti (contrada Taffuri), Raccuja, Floresta, Roccella Valdemone, Tripi, Ucria, Longi, che presentano vaste superfici, quasi pianeggianti, destinate a seminativo o a pascolo.

Di modeste dimensioni, sono sparse su una fascia territoriale di circa 90 kmq, ad altitudini comprese tra gli 840 e i 1370 m s.l.m., in adiacenza con quelle che erano le vie di comunicazione più antiche (trazzere regie, ecc.). I cubburi venivano anticamente costruiti soprattutto nelle zone destinate a pascolo ed erano quindi utilizzati per il ricovero dei pastori.

Si tratta, di capanne in pietra, realizzate con muratura a secco e copertura con lastre scistose, che sono inserite nel territorio in ordine sparso, talora raggruppate ad insediamento, costruite con materiale locale e disposte sempre su terreno in lieve pendenza.

La pianta è circolare e posata su un lieve pendio e, quando possibile, a ridosso di un terrazzamento naturale o creato artificialmente con un muretto in pietra a secco; la struttura della copertura è in aggetto e si chiude sempre in modo tale da essere inscrivibile in una semisfera. I più antichi hanno posizione defilata, talvolta mimetizzata; il varco d’ingresso, in tutti, è rivolto verso sud-est e non consente agevole transito.

È da escludere la possibilità di immettersi in stazione eretta. In alcuni di essi è possibile dimorare seduti, mentre, nella maggior parte, è consentito restare in piedi a persone di media statura. Per varcare la soglia bisogna disporsi carponi e talvolta si deve penetrare in posizione distesa.

L’interno presenta variazioni nella composizione delle pareti per via di certe scansie, di certi ripiani o di totale uniformità. Quelli più moderni, infatti, hanno caratteristiche assai vicine al manufatto abitativo, con dimensioni maggiori, con altezza sufficiente per la stazione eretta, con una varco di ingresso meno angusto, con evidenti ricavi di scansie, interne ed esterne, che fornivano comodi alloggiamenti per certi utensili di uso domestico.

In alcuni luoghi si è pervenuti alla costruzione di cubburi gemellati che fanno pensare a necessità di espansione dello spazio abitabile.

Un’altra tipologia di costruzioni in pietra a secco con copertura in aggetto, avente forma conica e non rastremata o semi-sferica come il cubburu messinese, si riscontra nelle campagne del versante nord-orientale dell’Etna (Bronte, Maletto e Randazzo) ed è stata realizzata con pietrame lavico.

A Bronte è nota con il nome di pagghiaru ‘n petra (pagliaio di pietra) o semplicemente pagghiaru (pagliaio). La costruzione, presente con numerosi esemplari prevalentemente all’interno del territorio del Parco dell’Etna, aveva soprattutto la funzione di offrire al contadino brontese riparo diurno e, qualche volta, quando le circostanze lo richiedevano, anche notturno. Alcune capanne erano in grado di accogliere, in caso di necessità, fino a una decina di persone. Indipendentemente dal tipo di copertura, l’ubicazione di questi ripari veniva scelta con cura in modo da assicurarne soprattutto la stabilità: in luogo naturalmente protetto dai venti, dalle intemperie e da eventuali inondazioni da piogge o straripamenti di torrenti e fiumi.  Inoltre, in genere, si aveva cura di realizzare la costruzione su banchi di lava affioranti per migliorarne la tenuta statica. Pur se nato per ospitare tutti i membri della famiglia, esso non perse mai la sua caratteristica di monolocale semplice e unitario.

Oltre alle capanne in pietra a secco adoperate come rifugio temporaneo dai coltivatori locali di vite e pistacchio, il Formica, ci informa anche della presenza di costruzioni con esclusiva finalità pastorale.

Sparse sui monti Iblei (in provincia di Ragusa), si trovano tuttora una decina di costruzioni in pietra a secco note localmente come muragghia, sebbene siano in gran parte prive di un vano interno.

Pur avendo esternamente la forma di torre gradonata, di cilindro o di tronco di cono e pur essendo munite di scale che conducono fino al terrazzo come nelle casèdde e nei truddi salentini, molte sono dei semplici accumuli ordinati di pietra calcarea (come le specchie pugliesi), frutto dello spietramento dei campi coltivati, utilizzate come punto di osservazione del territorio circostante.

Ma in alcuni casi ci troviamo di fronte a delle vere e proprie capanne in pietra a secco con copertura a in aggetto, costruite con il calcare locale e utilizzate come riparo di fortuna e probabilmente come deposito per gli attrezzi agricoli da parte dei contadini e dei pastori locali.

La forma più diffusa è quella primaria decadente ma vi sono anche esemplari di forma primaria ogivale, sottofascia (ricavati all’interno dei tantissimi terrazzamenti della zona) e rarissimi edifici a base quadrangolare. Gli edifici più rifiniti sono quelli a gradone e a gradone elicoidale.

L’ingresso più comune è ad architrave orizzontale ma ci sono esemplari di apertura a bilite contrapposto e ad arco a sesto acuto.

Le pareti delle capanne sono generalmente ad un solo paramento e raramente (specie in quelle di maggiori dimensioni e più rifinite) vi sono due filari di pietre con riempimento interno di pietrisco.

All’interno si rinvengono a volte nicchie e di rado una piccola mangiatoia; il pavimento è in genere in terra battuta e solo in un esemplare è stata rinvenuta una pavimentazione in lastre di calcare duro. Il focolare veniva acceso in genere al centro della costruzione, e per la fuoriuscita e il tiraggio del fumo si ricorreva all’apertura della lastra terminale della cupola in aggetto.

Nella Sicilia occidentale, come ci informa il Valussi, un tipo particolare di ricovero sopravvive ancora nell’altopiano interno, dove compaiono le formazioni gessoso-solfifere, nelle campagne di Mussomeli, di Sutera e di Campofranco.

Si chiama cupolo ed è una costruzione in pietra di gesso a pianta circolare ed a forma di cupola più o meno ogivale, che richiama inevitabilmente l’architettura araba. Il raggio si aggira sui 2-3 m e l’altezza sui 3-4. La muratura, disposta a volta, è impastata e intonacata da una malta di gesso che la fa biancheggiare al sole.

La costruzione assomiglia in molti casi ai bunkers in cemento armato costruiti durante l’ultima guerra mondiale. Questo rustico può essere aperto o chiuso da una porta bassa (circa 70 cm) architravata in legno.

Le funzioni sono più o meno le stesse del pagghiaru con basamento litico e copertura vegetale, ma molto maggiore è la stabilità e la durata della costruzione. Ad essa sono simili talune coperture di pozzi, che hanno però dimensioni molto più modeste.

È probabile che un tempo fosse assai più diffusa.

Sardegna

In Sardegna, come del resto anche in Sicilia, la capanna in pietra a secco con copertura in aggetto è surclassata, sia per numero che per estensione, dalla capanna con basamento litico e copertura vegetale. Mentre infatti le capanne con materiale più leggero interessano l’intera estensione dell’isola, la capanna tutta di pietra è diffusa soprattutto in due nuclei abbastanza ristretti: secondo il Baldacci, nel nord si trova nelle regioni Planàrgia, Campeda e Meilogu; e nel sud, sebbene con discontinuità, la diffusione interessa una zona che da Fordongianus si spinge fino al Flumendosa (Nurra-Orroli), includendo Parte Usellus, Marmilla settentrionale, Parte d’Alenza e il Sarcidano meridionale.

Secondo il Sanna “l’elenco è certamente approssimato per difetto, non comprendendo il Marghine-Costera, dove sono presenti in gran numero” e, stando alle conoscenze attuali, la capanna in pietra a secco con copertura in aggetto è diffusa in tutto il versante nord- e centro-occidentale dell’isola.

Sardegna

 

Pinnetta in località San Antine presso Torralba (SS).
http://www.panoramio.com/photo/41655919

 

Pinnetta in località  Corraile presso Thiesi (SS).
http://www.panoramio.com/photo/9964807

 

 

Pinnetta presso Bortigali (NU).
http://www.panoramio.com/photo/22602946

 

Turricula in località Filigheddu presso Sassari.
© Mario Sanna
http://www.mariosanna.com/pagine/mario_sanna_-_turricula_filigheddu.pdf.

Assumono denominazioni diverse a seconda del comune in cui sorgono: pinnettu/a, pinnatzu, barraccu/a, cabane, cubone, turricula. Il termine pinnettu/a è più diffuso nell’area settentrionale mentre barraccu/a in quella meridionale e non è esclusivo delle capanne tutte di pietra, ma indica anche quelle con basamento litico e copertura vegetale e quelle interamente in materia vegetale. Solo turricula è un termine specifico adoperato solo per le capanna in pietra a secco della tipologia a gradoni (Ittiri). Erano costruite soprattutto dai contadini e dai pastori locali adibendole a ricovero temporaneo e deposito attrezzi: in particolare, i contadini le usavano per ripararsi dalle intemperie durante il lavoro di semina o di raccolta dei frutti dei campi e i pastori come punto di sosta durante la transumanza invernale. Alcune erano utilizzate anche come ricovero dei minatori nel territorio di Romana, durante lo sfruttamento dei giacimenti di minerali ivi presenti.

Le tipologie di capanne in pietra a secco sarde sono alquanto limitate: la più diffusa è la secondaria cilindro-conica, seguita da quella primaria decadente; meno comuni sono le costruzioni a gradoni, quelle sottofascia e quelle a carena di nave rovesciata (riscontrata solo nel "trullo" Tocori a Monte Muradu e in una capanna a pianta rettangolare ad Ardauli, adibita probabilmente a stalla per buoi da traino vista la presenza di due nicchie, poste a lato dei due ingressi, utilizzate come mangiatoie). La forma primaria ogivale è stata segnalata in un edificio nei pressi del lago Omodeo (OR). Il cono di copertura può essere alto e slanciato come nel "trullo" Stoccoro (Campu Giavesu) oppure “a calotta ribassata”: in entrambi i casi il manto esterno è realizzato con lastrine di calcare rozzamente sovrapposte a secco, senza alcuna lavorazione, a differenza delle costruzioni cilindro-coniche pugliesi con copertura di chiancarelle. Nei "trulli" di Birori (Orosai 1), in territorio di Bortigali, il Sanna nota uno strato di terriccio erboso sopra le lastre di copertura, secondo un uso che è tipico anche di altre aree italiane (Liguria, Abruzzo, Lazio e soprattutto della Murgia barese in Puglia) e che aveva la funzione di migliorare l’impermeabilizzazione della struttura. La quasi totalità delle capanne di pietra sarde presenta pianta circolare, tranne un raro esempio a pianta quadrata (Arghentu 1) in territorio di Borore.

Caratteristiche frequenti nelle capanne in pietra a secco sarde sono: l’ingresso strombato all’esterno (come nelle casite / kažuni istriane), il pinnacolo costituito da una pietra lunga non lavorata, posta con il suo peso, secondo il Sanna, a fermare la lastra terminale della cupola in aggetto (pinnacoli sono ancora presenti nelle capanne di Campu Giavesu), i ripostigli quadrangolari ricavati nello spessore della muratura (e solo nel caso del “trullo Orosai” con imposta a terra e di maggiori dimensioni), il pavimento di terra battuta (raramente ricoperto con lastrine) e il focolare quadrato delimitato da quattro lastre piantate di coltello nel terreno e situato al centro della capanna. In alcuni casi ("trullo" Orosai 1) sono ancora visibili i resti di un recinto perpendicolare alla costruzione principale che doveva essere adoperato per il ricovero del bestiame domito (cavalli, muli, buoi o asini), indispensabile per il lavoro dei campi.

Il materiale da costruzione adoperato nelle varie sub-regioni sarde ha influito non poco nel definire l’aspetto finito delle innumerevoli capanne a secco ivi edificate. Nella Planàrgia, ad esempio, il Baldacci rinvenne una costruzione “grossolana e pesante”, anche a causa del materiale basaltico utilizzato, che offre solo massi piuttosto sferoidali di faticoso sbozzamento ed adattamento.

La forma esteticamente più raffinata di capanna a secco sarda (pinnetta/pinnatzu) si trova nella regione di Bonorva e Giave (Meilogu), a causa del materiale impiegato, il calcare, che infonde uno slancio maggiore nelle forme architettoniche e un senso di proporzione e di ricercatezza sufficientemente equilibrato. L’ingresso è in genere minuscolo ed è situato in posizione ribassata perché l’aggetto interno ha inizio al livello superiore dell’architrave e il piano della capanna risulta incassato nel terreno. All’interno la cupola in aggetto ha una direttrice più acuta rispetto alla copertura esterna che ha dei pioventi alquanto ribassati.

All’incirca da Fordongianus al Flumendosa, la capanna con cupola in aggetto sarda risulta spesso inclusa o ricavata nei muri a secco di divisione dei terreni (forma sottofascia). Il cono della copertura è notevolmente meno accentuato rispetto alle altre costruzioni e la pianta non sempre è circolare ma si riscontrano anche forme grossolanamente ellittiche. “Sa barracca” serve promiscuamente per pastori e guardiani. Come ci informa sempre il Baldacci, solo nella zona gravitante intorno a Samugheo, si osservano capanne di pietra circolari, con tetto testudinato. La regolarità e l’armonia delle proporzioni è dovuta al materiale da costruzione che è tufo trachitico di facile lavorazione. Questo tipo di capanna, più che pastorale è per guardiani di seminativi e di vigneti e funge pertanto da abitazione in determinati periodi di lavoro e di guardia. L’interno presenta elementi simili a quelli descritti; l’aggetto forma una cupola molto depressa, ma in genere assai perfetta.

Puglia

1) Gargano

La capanna in pietra a secco con copertura in aggetto, è presente sul Gargano in un’ampia fascia che comprende i comuni di Rignano Garganico, San Marco in Lamis, San Giovanni Rotondo, Monte Sant’Angelo, Mattinata, Sannicandro Garganico e Ischitella. Nel dialetto locale prende il nome di pagghiére (“pagliaio”). Queste costruzioni erano connesse sia alle attività agricole che a quelle pastorali e nel primo caso, si ritrovano soprattutto nei terreni adibiti prevalentemente alle colture di ceci, fave, lenticchie, mandorle ed olive. Molte capanne sono abbinate alle opere di terrazzamento che, a partire dai secoli scorsi, hanno interessato le aree montuose e collinari garganiche, specie i territori di Mattinata e Monte Sant’Angelo, incrementandone la produttività agricola.

Gargano - Subappennino Dauno e Tavoliere

Strutturalmente il pagliaro garganico è in genere di forma grossolanamente circolare, con un basamento massiccio che ha la netta predominanza volumetrica sulla copertura, costruito con doppio paramento murario in pietra calcarea appena sbozzata. Frequente è anche la forma del basamento a tronco di piramide con spigoli smussati.

La copertura esterna è in genere realizzata con un manto di chiancarelle poco o per nulla lavorate che vengono poste in opera a secco con un distanziamento maggiore di quello rilevato nella Murgia dei Trulli o nelle capanne cilindro-coniche murgiane e molisane, così da dar luogo a superfici esterne dalla forma “bombata” e non a “cono”. Tra l’estradosso della cupola in aggetto e la copertura di chiancarelle veniva interposto uno strato di terra rossa e pietrisco di varia pezzatura con lo scopo di migliorare il coefficiente di coibentazione della struttura.

L’accesso alla copertura terrazzata avviene grazie ad una scala esterna in pietra a secco, costruita aumentando lo spessore del paramento murario della capanna. Le scale esterne a volte venivano giustapposte, aumentando lo spessore della parete, ma più spesso erano costruite contemporaneamente alla costruzione del grosso basamento a secco, mantenendo sempre lo stesso spessore nel paramento e consentendo, inoltre, un trasporto più agevole del materiale litico senza far uso di impalcature. La precipua funzione della scala era quella di raggiungere la copertura esterna, che, essendo la parte più delicata del pagliaro, richiedeva controlli ed eventuali riparazioni periodiche, e veniva utilizzata come punto di vedetta, specie durante i periodi del raccolto e della vendemmia.

Come accorgimenti per migliorare la statica dell’edificio spesso veniva costruito all’esterno del basamento un muro a secco con funzione di controscarpa e un arco acuto di scarico o un sopraluce quadrangolare, che, interessando lo spessore dell’ingresso soltanto per la metà esterna, evitava un eccessivo carico sull’architrave. A volte, al posto dell’architrave veniva costruito un ingresso a sesto acuto ponendo a contrasto due pietre (biliti).

Mentre per il basamento esterno si impiegavano massi di dimensioni maggiori in basso e progressivamente minori verso l’alto, per edificare la cupola in aggetto si utilizzavano possibilmente sassi lastriformi o variamente lenticolari (chianche) che consentano l’aggetto. Il materiale da costruzione veniva impiegato soltanto con qualche sbozzatura ed era largamente offerto dalla roccia locale, calcarea, naturalmente sagomata dalle numerose linee di frattura. Si aveva l’accortezza di lasciare aperta la lastra di copertura terminale della cupola in aggetto in modo da favorire il tiraggio del fumo.

All’interno della capanna trovano posto, poi, le consuete nicchie e ripostigli utili per aumentare e disimpegnare meglio lo scarso spazio a disposizione.

 

Pagghiére dell’agro di Monte Sant’Angelo. Presenta pianta quadrangolare a spigoli arrotondati all’esterno e subrettangolare all’interno (circa m 2,90 x 3,05). Sorge in un’area, fittamente terrazzata e recintata da muretti a secco, oggi adibita a pascolo.
© Marco Miosi.

 

Nel territorio di San Giovanni Rotondo, molte capanne sono state edificate a ridosso della roccia nei punti in cui questa presenta un dislivello tra due superfici di terreno sfalsate (come negli esempi abruzzesi, elbani e liguri), risparmiando così una porzione di muro perimetrale e proteggendo meglio l’intera struttura dai venti e dalle intemperie. In genere queste costruzioni sono connesse con la pastorizia e a riprova di ciò vi sono i recinti in pietra a secco (jazzi) per il ricovero all’addiaccio delle pecore e soprattutto delle capre.

Di sicuro, tra le « fantasiose forme architettoniche » in uso tra i pastori garganici, vi è quella a carena di nave rovesciata, attestata per la prima volta nel Gargano dal Baldacci. La "varietà a camera rettangolare” riscontrata dal Baldacci nel ripiano di Rignano Garganico, appartiene alla cosiddetta tipologia rettangolare con copertura a carena di nave rovesciata che ha i suoi esempi migliori negli "oratories” della regione del Kerry nell’Irlanda sud-occidentale e nelle capanne francesi di Fontaine-de-Vaucluse. In Italia, ad esclusione dell’area garganica dove è discretamente presente, questa tipologia è molto rara ed è stata riscontrata finora soltanto sporadicamente, ad esempio nel Trullo Ferrante a sud di Ruffano da Rohlfs, in alcune capanne sarde dal Sanna e nella zona di Decontra (Abruzzo) dal Micati.

2) Tavoliere di Puglia e Subappennino Dauno

Nel vasto e pianeggiante Tavoliere di Puglia, caratterizzato dall’assenza dei calcari compatti e stratificati presenti nel resto della regione, la costruzione a secco vi trova impedimenti materiali per la sua diffusione. In quest’area le dimore temporanee sono costruite generalmente in tufo o pietra con legante e copertura di coppi (casédde) oppure, lungo la fascia litoranea dei territori di Chieuti e Serracapriola e nella cimosa litoranea dei territori di Margherita di Savoia e, in parte, di Manfredonia, con materiale vegetale (pagliaio di frasche).

Dal tipo più semplice di pagliaio di frasche si passa, dove la natura geologica del terreno lo consenta, al pagliaio di pietre con cupola in aggetto in agro di Cerignola e di S. Severo. La costruzione, sempre molto rozza e di dimensioni limitate (base circolare di circa 4 m di diametro o rettangolare di m 3 x 4 e altezza di 2,50-3 m), è ben lontana dall’imponenza dei pagliai baresi e garganici; il materiale edilizio è alcune volte costituito dalla ben nota «crosta» del Tavoliere.

L’architrave, data la mancanza di adatti lastroni di pietra, è quasi sempre formato da una o due assi di legno.

Può essere interessante, infine, aggiungere che la presenza di quest’ultima particolare forma di dimora temporanea va spesso attribuita, come ho avuto modo di costatare personalmente, all’insediamento nel Tavoliere di contadini garganici, che anche qui hanno continuato a costruire i pagliai di pietre, sia per tradizione che per la notevole loro conoscenza della relativa tecnica costruttiva.

Cuppəléinə in calcarenite a due gradoni sormontati da un cono a Trinitapoli. Essa é quadrangolare all’interno. Due scale esterne, incassate nella muratura, salgono su entrambi i fianchi fino al secondo gradone.
© Marco Miosi.

Nel Subappennino Dauno, invece, nonostante la presenza di calcari e arenarie, la capanna con cupola in aggetto è quasi del tutto assente (tranne le poche che si trovano in agro di Faeto e Celle San Vito studiate da Vincenzo Rubino), sostituita dalla dimora temporanea in muratura e copertura di coppi (casédde) e dai pagliai interamente in materiale vegetale che, nella zone di media collina, prevedono la variante con basamento di pietre a secco su cui poggia l’intelaiatura di rami.  

La massima densità di capanne in pietra a secco con copertura in aggetto si riscontra (per la provincia di Foggia escludendo il Gargano) negli agri a sinistra del basso corso del fiume Ofanto: Cerignola, Trinitapoli e San Ferdinando di Puglia. Nel dialetto trinitapolino sono denominate cuppeléine, mentre a San Ferdinando di Puglia sono indicate col termine ttùrre (sing. tòrre, lett. « torre »). Come nel caso di San Severo, che confinando con l’agro di Rignano Garganico, ha subito l’influsso dei contadini garganici i quali vi hanno introdotto il pagliaro in pietra a secco, così, nel caso dei territori foggiani a sinistra dell’Ofanto, si è verificata, in un passato recente, la lenta ma continua colonizzazione da parte dei contadini nord-baresi seguita dalla comparsa delle capanne voltate a secco. La gran parte delle capanne in pietra a secco del luogo, infatti, risale agli anni successivi il 1863, quando, con l’introduzione della colonia migliorataria, si cominciarono a dissodare le terre salde e il contadino locatario di terreni coltivati a vigneto, era tenuto a rispettare determinate clausole.

Seguendo la classificazione morfologica del Defacendis, le capanne in pietra a secco con cupola in aggetto presenti nell’area a sinistra dell’Ofanto possono essere distinte in cinque diverse tipologie.

La forma più comune è quella gradonata, composta nella maggioranza dei casi da due gradoni (in misura ridotta da 1 gradone e raramente da 3) a cui viene sempre sovrapposto un cono terminale (solo in rari casi un’emisfera). Le capanne di questa tipologia si presentano con una mole maggiore rispetto alle altre specie per quanto riguarda l’altezza (fino a 7 m., in genere 4,80 m.), dal momento che nelle costruzioni a gradoni la spinta dall’alto viene gradualmente ridotta e meglio distribuita. Sono, inoltre, sempre dotate di scale esterne (una o due) che sfiancano a spirale la costruzione: in molte capanne la fondazione è resa più solida da uno zoccolo largo e alto circa 40 cm. che funge da sedile nelle adiacenze dell’ingresso e si trasforma in scala ai lati della capanna salendo fino alla sommità del primo gradone. Qualora il gradone sia molto alto possono essere presenti dei conci sporgenti per favorire la manutenzione periodica della capanna; questi conci sono in genere presenti anche sul cono terminale. Sono quasi sempre assenti mangiatoie e camini mentre abbondano di nicchie e ripostigli, a riprova dell’uso di deposito attrezzi agricoli che ne veniva principalmente fatto.

Il secondo tipo di capanna in ordine di diffusione dopo quello a gradoni è quello « a zolla », rappresenta una forma più razionale ed evoluta di costruzione a secco, dotata di più ambienti con funzioni diverse e fornita di mangiatoia, camino con canna fumaria e cisterna. È una tipologia che si ritrova a destra del fiume Ofanto, soprattutto negli agri di Canosa, Andria e Barletta, dove risponde alle stesse esigenze. Come ci informa il Defacendis, le dimensioni sono pure diverse rispetto agli altri tipi: l’altezza è modesta (non supera i tre metri e mezzo), ma la base è ampia e di forma ellittica con l’asse maggiore lungo 7-8 metri e l’asse minore 3-4 metri. L’ambiente interno è suddiviso in tre (o raramente in quattro) vani da arconi di tufo. Il vano alla sinistra di chi entra costituisce la stalla ed ha la mangiatoia; il vano centrale, più stretto, è provvisto di caminetto con canna fumaria; il vano di destra, il più ampio, costituisce l’alloggio del contadino ed è corredato da finestra o spioncino. Ogni vano culmina superiormente con false cupolette. La porta ha stipiti e arco in tufo; l’arco è configurato prevalentemente a tutto sesto (in pochi casi è a sesto ribassato). La copertura a mezza volta inizia subito sopra l’ingresso ed è sormontata da pietrisco e terriccio (da cui la denominazione « a zolla ») che consentono una buona impermeabilizzazione e comunque hanno la funzione di alleggerire il carico.

Tra le altre tipologie di capanne a sinistra dell’Ofanto, quella ogivale è la più diffusa, seguita rispettivamente da quella tronco piramidale e decadente che sono estremamente rare. La forma primaria ogivale si presenta modesta nelle dimensioni soprattutto della cella interna,  che però è sempre a pianta quadrata, ed esternamente è priva di strutture accessorie, specie quelle inerenti alla manutenzione.

Dintorni di Barletta - Costa Nord-Barese - Da Andria a Grumo Appula - Area Costiera da Bari a Fasano - Murgia dei Trulli - Triangolo Andria-Canosa-Barletta - Alta Murgia - Area Terlizzie - Acquaviva-Turi - De Laterza a Taranto

3) Dintorni di Barletta

A oriente della foce del fiume Ofanto, in gran parte dell’agro del comune di Barletta (e sporadicamente in quello di Trani), prevalgono costruzioni a secco dalla forma primaria ogivale che non prevedono la netta distinzione del basamento dalla copertura in aggetto. La superficie esterna, caratterizzata dall’opera muraria a secco, si incurva gradatamente e giunge fino all’apice fungendo così da tegumento; in genere, vista l’irregolarità dei conci e la porosità degli stessi, per garantirne una certa impermeabilità, la copertura muraria esterna (oltre che interna) viene ricoperta da un impasto magro di terra e sabbia.

Il Simoncini, nella sua tabella classificatoria dei tipi di trulli pugliesi, riporta la forma primaria ogivale come presente a Barletta e a Monopoli ma non nomina il Salento, viceversa il Degano parla dell’agro di Barletta, di Specchia e, in aggiunta, di Santa Lucia (Bari-Carbonara) ma vi esclude l’agro monopolitano.

 

Casèdde di forma primaria ogivale dell’agro di Barletta. Presenta pianta circolare all’esterno e quadrangolare all’interno (circa m 2,50 x m 2,50). Un settore del rivestimento esterno della capanna è crollato in corrispondenza dell’ingresso rendendo così pericolante l’intera struttura. Sorge attualmente all’esterno di un vigneto d’impianto moderno.
© Marco Miosi.

 

4) Triangolo Andria-Canosa-Barletta

Nell’areale andriese-canosino-barlettano, con irradiazione negli agri di Trani, di Corato e di Minervino Murge, oltre alle capanne ogivali si ritrovano delle costruzioni a pianta rettangolare la cui tecnica costruttiva per quanto riguarda la cupola in aggetto, è leggermente diversa da quella diffusa in gran parte della Puglia ed è stata definita dal Degano, che per primo le ha studiate, come “ibrida”:  serve a voltare le caselle a pianta rettangolare e consiste nell’utilizzare due archi a sesto acuto realizzati in blocchetti di pietra tufacea senza impiego di malta. La parte da coprire, come abbiamo detto, è rettangolare con il lato più lungo che può essere dalle due alle tre volte quello più corto, per cui l’introduzione dei due archi serve a dividere la superficie utile in tre riquadri su ognuno dei quali viene costruita una volta a secco. Quella centrale viene impostata tra i due arconi sul loro estremo estradosso, mentre le altre due, che in realtà sono due semivolte, vengono impostate direttamente contro il lato esterno degli arconi. Le semivolte non risultano esattamente tagliate a metà ma conservano cinque o sei filari con i quali si chiude, in alto, la cupoletta.

Queste tecnica è stata utilizzata, come ci informa Ambrosi, nelle campagne tra Ruvo e Andria per la costruzione di piccoli edifici di supporto alle attività agrarie all’interno dei poderi dell’Ente Riforma e nell’immediato dopoguerra.

Questa singolare combinazione di interventi pubblici e mano d’opera artigiana, oggi in abbandono e rapido degrado, ha analogia con la colonizzazione dei territori boschivi della Sylva Arboris belli e delle grandi aree del latifondo della Valle d’Itria.

Altra caratteristica delle caselle di questa zona, in particolare dell’area a Nord di Castel del Monte (interessando gli agri di Barletta, Andria, Canosa e Corato), è la loro disposizione lungo assi a sviluppo rettilineo che possono superare il chilometro di lunghezza. Come abbiamo visto in precedenza, questa tipologia di capanna è stata importata negli agri a sinistra del fiume Ofanto da parte dei contadini barlettani, andriesi e canosini che vi si recavano per coltivare i terreni sottoposti a colonia migliorataria.

Casèdde in calcare di Bari a Andria. Di pianta ogivale all’esterno, suddivisa da arconi in tufo in quattro piccoli ambienti a pianta rettangolare coperti da cupola in aggetto. I vani a sinistra dell’ingresso erano destinati agli animali da soma (stalla), il vano di fronte l’ingresso presentava un caminetto e il vano a destra dell’ingresso era riservato al ricovero del contadino.
© Marco Miosi.

5) Costa nord-barese

Nella costa nord-barese e nella fascia premurgiana dei comuni di Trani, Bisceglie, Molfetta e Giovinazzo, il tipo di capanna più comune e dominante è sicuramente quello a gradoni (fino a quattro o cinque), costituito da una sovrapposizione di tronchi di cono di diametro decrescente, esistente sia in soluzioni monocellulari che doppie, in tal caso con estradosso unico per le due cupole in aggetto.

Secondo il Ranieri questa tipologia è diffusa dall’Ofanto sin quasi alla S.S. 96 (Bari-Altamura), con tendenza a rarefarsi e a ridursi di dimensioni a mano a mano che si procede dalla costa verso l’interno. Se ne può più esattamente vedere l’area di maggior frequenza limitata al tratto di costa compreso fra Barletta e Palese (Bari); e, all’interno, dai centri di Andria, Corato, Terlizzi e Bitonto.

Le dimensioni dei pagliai gradonati sono quasi sempre notevoli, potendo arrivare a 20-25 m di circonferenza ed a 6-7 m di altezza. Ve ne sono anche a pianta rettangolare con spigoli arrotondati e le dimensioni, anche in questa variante, superano i 6-7 m di lunghezza, 4-5 di larghezza  e 5 di altezza. Lo stesso Simoncini ci informa, inoltre, della presenza di costruzioni gradonate a due piani nell’area di Giovinazzo.

L’uso di dividere con soppalco in legno la struttura creando l’accesso a livelli differenti si ritrova anche in molte caselle liguri, nelle capanne gradonate abruzzesi, e, in Puglia, nel “Trullo di Papa Fedele” in territorio di Patù (LE).

Casèdde a quattro gradoni dell’agro di Bisceglie, sita all’interno dell’abitato. Presenta pianta ellissoidale all’esterno e quadrangolare all’interno. Un altro edificio, ora in gran parte crollato, sorge perpendicolarmente al primo. Entrambe le capanne erano in origine intonacate con un impasto di calce e bolo di cui residuano attualmente poche tracce. L’utilizzo dell’intonaco, è tipico anche delle capanne del litorale sud-barese e, probabilmente, doveva assolvere ad una funzione protettiva, oltre che igienica, nei confronti dei venti marini carichi di salsedine fortemente corrosiva.
© Marco Miosi.

Nella campagna tra Molfetta e Bitonto si rinvengono spesso anche capanne a tronchi di piramide sovrapposti e, come ci informa il Battaglia, in genere gli angoli sono leggermente smussati e i “piani dei gradoni sono inclinati verso l’esterno e coperti di terriccio”.

Le capanne gradonate della costa nord-barese sono realizzate soprattutto con il calcare di Bari ma, a volte, anche con il tufo delle Murge e con la calcarenite (crusta) (ad esempio nella costa a nord di Trani), in base al substrato geologico su cui sorgono. In genere, specie nelle aree più vicine alla costa, il paramento murario sia interno che esterno della capanna veniva intonacato col bolo e scialbato con più strati di latte di calce per garantirne l’impermeabilità. Le superfici orizzontali (i gradoni e la parte terminale della capanna), prima di essere intonacate, venivano riempite e livellate con uno strato di ghiaietto o di terriccio e stoppie.

Nell’area interessata da questa tipologia a torre gradonata, vi è la prevalenza colturale dell’oliveto e del mandorleto e, di conseguenza, l’utilizzo che ne veniva fatto, era quello di ricovero per animali e contadini durante il raccolto e di deposito degli attrezzi agricoli.

Un’altra tipologia di capanna, che però si incontra in maniera più sporadica rispetto alla forma gradonata, è quella estradossata cupoliforme-sferica. Sebbene diffusa soprattutto negli agri di Giovinazzo, Modugno e Bitonto, in realtà, questa tipologia è presente in maniera più o meno discontinua da Bisceglie fino a Palese, e sembra essere stata adibita in passato ad abitazione permanente: queste costruzioni sono, infatti, quasi sempre presenti in aggregazioni di più ambienti quadrangolari intonacati, imbiancati e spesse volte comunicanti internamente, e vi è la presenza fissa dei focolari interni con fumaiolo esterno.

Inoltre, in alcuni casi, come a Giovinazzo e a Palese, queste costruzioni sono presenti nell’abitato e sono state inglobate da esso, testimonianza di un loro utilizzo come abitazione permanente fino a tempi recenti.

Quando non presenti nell’abitato, queste strutture possono trovarsi in siti originariamente caratterizzati dal vigneto e dall’arborato misto (Bisceglie), oppure da colture orticole e legnose, specie l’oliveto e il vigneto (Palese).

Strutturalmente si presentano secondo un grosso basamento parallelepipedo o rotondeggiante in lastre di pietra poste in opera a secco o su strati di intonaco di bolo. Il coronamento è sempre effettuato con conci di tufo squadrati. L’estradosso delle coperture, di forma emisferica, veniva ricoperto originariamente con un intonaco a base di bolo o, più di recente, con intonaco di coccio pesto e calce.

È frequente notare la presenza di piccoli conci sporgenti dalla superficie della copertura che un tempo servivano come gradini o appoggi per ispezionare la cupola in vista di una sua manutenzione periodica.

Proseguendo da Palese in direzione di Bari città, riaffiora il materiale calcarenitico (tufi delle Murge) lungo la costa, e le costruzioni trovano nuove soluzioni formali. Già in agro di Palese, nel sito Cappella di Bovia, si trova un manufatto, con originaria destinazione di abitazione permanente, che presenta un corpo con impianto rettangolare modulato su tre campate con ingresso in testa; in aderenza è presente un volume minore ad unico vano. La struttura muraria è in opera incerta di spezzoni di tufo con coronamento di tufi squadrati; gli interni sono rivestiti da un impasto di bolo e imbiancati. L’estradosso delle tre coperture è stato ricoperto da un cumulo di terra vegetale.

Inizia da qui un accorgimento formale, frequentissimo nei dintorni di Santo Spirito, che consiste nel mantenere i cupolini della cupola in aggetto entro un unico corpo. Mentre nella tipologia dalla forma estradossata cupoliforme-sferica, analizzata precedentemente, la tendenza era quella di mantenere le coperture separate e nel ricoprirle di intonaco, qui probabilmente a causa del diverso materiale (meno resistente), si è preferito consolidare la struttura con un consistente riempimento lapideo tra le cupole, in modo da avere un unico corpo esterno.

La gran parte di queste costruzioni, poi, aveva, come nel caso precedente, come principale destinazione quella di dimora permanente e, di conseguenza, l’impianto interno è sempre a base quadrangolare; l’esterno può assumere o una forma ellissoidale oppure quadrangolare a spigoli arrotondati. Ma la soluzione formale più tipica di S. Spirito è quella che prevede l’aggregazione di due ambienti quadrangolari con copertura in aggetto e ricoperti esternamente da abbondante materiale lapideo e terra vegetale; il tutto veniva poi intonacato con il bolo e scialbato a latte di calce. Inoltre, esternamente venivano posti per ogni ambiente voltato, in corrispondenza delle pietre in chiave di volta, dei pinnacoli cuspidati che sono l’unico modo per attestare, dal di fuori, la presenza di più ambienti interni. Spesso è presente un bastione anulare esterno al basamento con funzione di contrafforte: su di esso, e fino alla copertura del tetto, sono presenti spuntoni di pietra a mensola con andamento a spirale che permettevano la manutenzione periodica della costruzione.

L’interno di questi edifici è in genere fornito di mangiatoia per gli animali da soma e di un piccolo focolare ricavato entro lo spessore murario. Occorre rilevare, inoltre, la diversa destinazione d’uso dei terreni che in quest’area erano, fino a tempi recenti, adibiti a seminativo e non ad arborato misto.

In agro di Bari, nelle zone retrostanti la cimosa costiera, in aree un tempo occupate dall’arborato misto (oliveto e mandorleto), troviamo tipologie abbastanza simili a quelle della costa di S. Spirito, con ambienti quadrati disposti in serie con ingresso unico e estradosso delle cupole ricoperto da abbondante pietrisco e cumulo di terra. La differenza consiste nella destinazione d’uso che essendo qui solo temporanea (stalla per animali da soma e da lavoro e ricovero attrezzi agricoli), non richiedeva tutti quegli accorgimenti estetico-formali, come l’intonacatura e la scialbatura esterna, necessari nelle costruzioni precedenti.

6) Area costiera da Bari a Fasano

Procedendo lungo la costa a sud di Bari, in direzione di Brindisi, le capanne a secco assumono forme diverse da quelle a tumulo o a gradoni diffuse nella costa nord-barese. Si ricollegano morfologicamente alle costruzioni primarie ogivali della costa barlettana/nord-tranese e della sponda occidentale del basso corso dell’Ofanto, sebbene siano più complesse e rifinite di queste ultime, subendo influssi stilistici anche dalla vicina Murgia dei Trulli.

L’uso dell’intonaco a base di bolo è generalizzato ed è prevista la possibilità di accedere anche sull’estradosso della costruzione per mezzo di conci sporgenti a mensola, come abbiamo visto nelle capanne ofantine.

Esternamente si presentano contraffortate da un basso basamento circolare (specie da Mola di Bari a Polignano a Mare) o quadrangolare (da Polignano a Mare a Monopoli) e con estradosso della copertura a tronco di cono (specie da Mola di Bari a Polignano a Mare) o cilindrico-ovoidale (da Polignano a Mare a Monopoli); oppure si presentano nella classica forma primaria ogivale (da Monopoli a Fasano Mare), quale l’abbiamo incontrata a Barletta, sebbene l’ingresso sia spesso ornato, rispetto a queste ultime, da un frontoncino trapezoidale o a sesto acuto che richiama modelli della Murgia di sud-est.

Queste, però, sono semplificazioni schematiche e la realtà è difficilmente inquadrabile in schematismi fissi; le tre tipologie potrebbero, ad esempio, come avremo modo di scoprire in seguito, coesistere affiancate l’una all’altra.

Casèdde dell’agro di Monopoli. Assume la forma primaria ogivale che risulta “tipica” dell’agro monopolitano e che la rende simile alle casèdde dell’areale barlettano. La struttura, seppure più piccola nei volumi interni ed esterni rispetto alle altre costruzioni del litorale nord-barese, mantiene l’estradosso ogivale a generatrici inflesse, la copertura totale a base di bolo con scialbatura a latte di calce. È probabile che questa tipologia venisse utilizzata primariamente come deposito degli attrezzi agricoli e, solo in caso di necessità, come ricovero dell’orticoltore. Il pinnacolo, un tempo presente, doveva essere di forma troncoconica capovolta. È possibile notare la struttura lenticolare dei conci di calcarenite, dal momento che la capanna ha perso negli anni l’originario intonaco esterno di rivestimento.
© Marco Miosi.

A partire da Polignano a Mare città, le capanne hanno l’estradosso della cupola in aggetto non più tronco-conico ma ovoidale, vi è una maggiore tendenza alla quadrangolarità anche nel basamento esterno oltre che interno, aumentano il numero di conci sporgenti per facilitare l’ispezione-manutenzione delle coperture, e, più che nei manufatti costieri di Torre Ripagnola sopra analizzati, il portale acquista una notevole importanza stilistica mostrando influssi dalla vicina area della Murgia dei Trulli (dove il portale a simmetria assiale è sempre presente).

A partire da Monopoli le costruzioni in pietra a secco riassumono la forma primaria ogivale tipica dell’agro barlettano, seppure vi sia una maggiore tendenza alla quadrangolarità della pianta.

7) Da Andria a Grumo Appula

In buona parte della Murgia barese si mescolano, diventando a volte dominanti ed esclusive, due tipologie di capanna in pietra a secco: quella “a tumulo” (più diffusa) e quella cilindro-conica con copertura esterna di chiancarelle. Negli agri di Andria, Terlizzi, Corato, Ruvo, Toritto, Grumo Appula, Sannicandro di Bari, Santeramo in Colle, Gioia del Colle, Acquaviva delle Fonti, Sammichele di Bari, Casamassima, Turi e Conversano la forma secondaria cilindro-conica è ampiamente rappresentata e in gran parte dominante. Nelle rimanenti parti della Murgia barese compare in maniera più sporadica.

In realtà, ho notato come l’adozione di una delle due tipologie (a tumulo piuttosto che a chiancarelle) sia più spesso dettata da questioni di carattere economico-culturale che geologico: in molte costruzioni a tumulo le chiancarelle sono state adoperate per la costruzione della cupola in aggetto interna, mentre nelle costruzioni cilindro-coniche le lastre sottili sono state usate per il tegumento esterno, utilizzando conci di medio spessore per voltare l’interno. L’area di diffusione del tipo cilindro-conico coincide anche con la zona di diffusione delle aggregazioni di casédde in agglomerati di due o più unità. Due dei complessi più importanti si trovano in località Macchione (Grumo Appula), dove troviamo un’aggregazione irregolare di 4 o 5 elementi a trullo appartenente ad un’unica proprietà, e legato alla coltura cerealicola: un tempo erano destinati ad abitazione temporanea durante i periodi di semina e raccolto.

Queste aggregazioni “elementari” di più elementi, a trullo a pianta circolare e quadrangolare, sono stati studiati in chiave evolutiva dal Zaccaria, che considera il complesso di casédde in contrada Macchione come il più arcaico tra i complessi aggregativi in pietra a secco culminanti nelle complesse e pluri-funzionali masserie della Murgia di sud-est.

Casèdde tricellulare dell’agro di Andria. Questa monumentale costruzione ellissoidale all’esterno (circa m 20 x m 10) si presenta internamente con tre vani quadrangolari (circa m 4,60 x m 4,70) non comunicanti. All’esterno si presenta con un’unica copertura di chiancarelle, a carena di nave rovesciata, che nasconde gli estradossi delle tre cupole in aggetto. Notare la scaletta che sale fino alla cima della costruzione, ricavata, come di consueto, nello spessore delle chiancarelle, e il finestrino di aereazione posto in corrispondenza del vano stalla. La presenza del forno all’esterno, di un pollaio all’interno (circa m 1,15 x m 1,60), in aggiunta alla complessità e al numero dei vani interni arricchiti da un numero cospicuo di nicchie e ripostigli, fa pensare ad un’abitazione semi-permanente adoperata da una o più famiglie in un contesto di economia mista agro-pastorale.
© Marco Miosi.

8) Alta Murgia

L’area alto-murgiana, interessata tradizionalmente da un’economia soprattutto pastorale, ha conosciuto, a partire dal XVIII sec., un graduale passaggio ad un’economia mista cerealicolo-pastorale per giungere nel XIX sec. alla grande trasformazione agricola, che ha visto la sostituzione nelle aree meno elevate (agri meridionali dei comuni di Ruvo, Corato, Bitonto, Grumo Appula, Cassano) dei seminativi (cereali e leguminose) con colture legnose (specialmente ulivo e mandorlo, in parte vite).

Dal momento che la popolazione agricola era (ed è) in maggior parte concentrata in grossi centri urbani posti alle estremità del pietroso quadrilatero alto-murgiano, si resero necessari in passato una serie di costruzioni rurali temporanee.

La forma più comune di capanna in pietra a secco con cupola in aggetto è quella a tumulo che raggiunge però minori dimensioni e altezza rispetto agli esemplari della fascia premurgiana barese. La gran parte delle capanne presenta un anello litico esterno di accumulo nel quale sono state ricavate le scalette di accesso alle coperture. Le piante sono di andamento quadrangolare e nelle parti interne sono presenti delle nicchie che servono come mangiatoie. In genere gli ingressi sono orientati verso Est e, in alcuni casi, sono dotati di sedili ai lati.

 

Trudde dell’agro altamurano a basamento ellissoidale. E' una delle costruzioni più grandi dell'agro e presenta due ambienti quadrangolari non comunicanti internamente coperti con cupola in aggetto. L’estradosso della copertura é in terra e erba.
© Marco Miosi.

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Soprattutto ai confini con gli agri di Santeramo in Colle, Cassano delle Murge, Grumo Appula e Toritto compare la forma cilindro-conica con copertura di chiancarelle che, a ragion veduta Ambrosi e Degano, considerano importata dalle maestranze acquavivesi o gioiesi. Il Degano, inoltre, ci informa della presenza di costruzioni primarie ogivali nell’agro di Gravina.

Nell’agro di Altamura, vero e proprio epicentro del territorio altomurgiano, le capanne in pietra a secco sono diffuse nelle zone poste nelle immediate adiacenze del centro urbano e caratterizzate dalla presenza di parchi chiusi contenenti coltivazioni legnose e/o ortive, frutteti, seminativi arborati; e nelle vaste aree della zona centro-settentrionale, dominate dalla presenza incontrastata del calcare compatto e segnate dai numerosi insediamenti pastorali, di cui  almeno fino a tutto il Settecento trulli e pagliari costituivano elementi essenziali e ricorrenti.

Il che significa pertanto, che tali costruzioni erano nell’Alta Murgia legati ad un sistema di organizzazione spaziale, di cui ormai non sono che segni residuali, che, oltre a tener ovviamente conto della facile reperibilità e utilizzazione dei blocchi di pietre calcaree stratificate, rispondeva anche ai criteri della varia distribuzione della proprietà, molto vasta e destinata quasi esclusivamente all’allevamento ovino nelle aree propriamente murgiose, fortemente parcellizzata nei dintorni dei centri abitati e riservata soprattutto, data anche la diversa natura dei terreni, alle colture intensive, con la necessità, nell’uno e nell’altro caso, di poter comunque disporre di numerosi funzionali e poco costosi ricoveri temporanei (e non) e ripari per attrezzi e animali, opportuni punti d’appoggio e indispensabili strutture di servizio per le attività praticate.

9) Da Laterza a Taranto

Nei territori ad ovest di Taranto (agri di Laterza, Ginosa, Castellaneta, Palagianello, Palagiano, Mottola, Massafra, Crispiano, Statte, Montemesola), come ci informa il Battaglia, le capanne in pietra a secco con cupola in aggetto scarseggiano nel versante che chiude il golfo di Taranto. Sono frequenti nella zona intorno a Taranto, dove pure domina il terreno carsico con roccia affiorante; mancano nella estesa pianura che da Taranto si estende verso Metaponto in Lucania.

Casèdde presso Laterza con copertura a forma estradossata cupoliforme-sferica .La pianta è circolare sia all’esterno che all’interno. L’intera costruzione era, in origine, ricoperta da un intonaco a base di bolo e calce e da successivi strati di latte di calce.
© Marco Miosi.

Lo Spano chiarisce che le casèdde o casièddi (con terminologia mutuata dalla vicina Murgia dei Trulli) hanno distribuzione assai irregolare. In genere, risulta più rada sui terreni seminativi, mentre infittisce nelle plaghe a colture legnose, di viti e di ulivi. Là dove è stata introdotta l’agricoltura irrigua, vengono invece sempre di più rimpiazzati da costruzioni in muratura (normalmente di un sol vano e con tetto di tegole o del tipo a lamia).

I modelli del territorio di Laterza e di Ginosa ripropongono qualità e fisionomie spaziali dovuti alla confluenza dei bagagli esperienziali di Altamura-Gravina, e di quelli esplicati nelle campagne di Mottola-Crispiano che ammettono similitudini con i manufatti dell’ambito di Martina Franca.

Inoltre con la finalità di migliorare le qualità di tenuta agli agenti atmosferici, alcune delle coperture sono state impermeabilizzate con un impasto di malta. Comunque è opportuno dire che sovente i manufatti a trullo del territorio di Laterza, Mottola e Crispiano presentano il volume interno completamente ricoperto da una successione di strati di latte di calce che hanno assunto la parvenza di intonaco.

10) Area Acquaviva-Turi e Terlizzi (tipologia a tetto displuviato)

Negli agri di Acquaviva delle Fonti, Casamassima, Sammichele di Bari e Turi, sono sporadicamente diffuse, assieme alle più comuni capanne cilindro-coniche a base circolare, che ricordano molto da vicino le casite / kažuni istriane e alcune pagliare molisane, delle costruzioni con tetto a pignon e copertura in aggetto. Questa tipologia a tetto displuviato si rinviene anche in alcuni manufatti dell’agro di Terlizzi.

Benché rari e poco considerati dagli studiosi, questi manufatti sono di grande interesse per il singolare modo di coniugare il principio formale della capanna a tetto displuviato con la struttura cupoliforme in aggetto. Che si tratti di un isomorfismo è evidente non solo dall’opera muraria di pietra a secco, ma anche dalla presenza di pietre a sbalzo, disposte in modo da formare una scala nell’immancabile motivo delle rampe a sbalzo sul corpo di fabbrica, come mezzo di accesso alla copertura per la manutenzione. Il piccolo vano interno è coperto da una cupola in aggetto molto ribassata composta di grandi lastre sottili.

L’agro di Terlizzi presenta altri interessanti esempi dello stesso genere di edificio tra i quali mi sembra opportuno segnalarne due. Il primo riprende in dimensioni più ampie e più definite il motivo della volta in aggetto dell’esempio precedente; il secondo, sito in località “Colajanni” presso Sovereto e databile alla fine del XVIII secolo, copre il vano interno, pressappoco quadrato, con una cupola in aggetto mediante passaggi ottenuti con la disposizione in diagonale di pietra anche di notevole dimensione e risolve l’esterno con un tetto a due falde. Questo risolvere il rapporto tra interno ed esterno, accostando forme diverse e incompatibili come il tetto a due falde e la cupola, mi sembra consono a quel modo di procedere del costruttore in pietra a secco che assembla archetipi senza ricercarne la fusione in un nuovo disegno, ma lasciandoli in una certa misura disarticolati e riconoscibili.   

Casèdde dell’agro di Casamassima al confine con quello di Sammichele di Bari. Questa costruzione con tetto a pignon e copertura in aggetto presenta pianta rettangolare sia all’esterno che all’interno. Era utilizzata un tempo, in connessione con la locale coltura olivicola, come deposito degli attrezzi agricoli e come rifugio temporaneo del contadino. Notare i gradini a sbalzo che permettono di accedere alla copertura e di attuare la manutenzione del manto di chiancarelle.
© Marco Miosi.

11) Murgia di sud-est o Murgia dei Trulli

La Murgia di sud-est è l’unica area in Italia dove la capanna in pietra a secco con copertura in aggetto, a causa di una serie di fattori (di natura soprattutto storico-politica), si è trasformata in una vera e propria abitazione permanente. Questa sub-regione pugliese, nota anche come Murgia dei Trulli, è caratterizzata oltre che dal tipo di abitazione ricorrente (il trullo), dall’insediamento rurale sparso, fatto quest’ultimo, assolutamente inusuale per la Puglia e per il Mezzogiorno d’Italia in genere dove prevale, invece, l’insediamento fortemente accentrato.

Secondo il Mongiello, la porzione del territorio geografico pugliese noto come Murgia dei Trulli è “delimitato a Nord-Est dal mare Adriatico; a Nord dalle pertinenze di Monopoli, Castellana e Putignano; ad Ovest dalle pertinenze di Noci, Mottola; a Sud dalle pertinenze di Massafra, Crispiano, Villa Castelli e Carovigno”. Fulcro della Murgia dei Trulli possono essere considerati i comuni di Alberobello, Martina Franca e Locorotondo.

In particolare, è Alberobello a costituire un’eccezione nell’eccezione: unico paese in Europa ad essere stato edificato fino alla fine del XVIII sec. adoperando esclusivamente le tecniche della pietra a secco e della cupola in aggetto per la copertura degli ambienti.

La spiegazione dell’“unicità” di Alberobello e in generale della Murgia dei Trulli rispetto alle limitrofe aree pugliesi dove pure, come abbiamo visto, la capanna in pietra a secco è ampiamente adoperata come ricovero temporaneo, sta in un complesso di ragioni storiche. In primis quella dell’origine stessa del centro di Alberobello che avvenne per volontà del conte di Conversano Andrea Matteo. In questo territorio, noto come Silva aut Nemus Arborbelli, ricoperto ancora tra il XV e il XVI sec. da ampie foreste di querce e quasi del tutto spopolato, il conte di Conversano attuò una politica di popolamento grazie ad insediamenti di coloni provenienti da altre zone del suo feudo, assegnando loro appezzamenti di terre. Quando nel 1620 Gian Girolamo II, chiamato il “Guercio di Puglia”, ereditò il titolo di conte, vi fu un ulteriore sviluppo della comunità alberobellese. A seguito di un editto, conosciuto come la «Prammatica de Baronibus», che fu inviato dal re spagnolo a tutti i suoi feudatari e che imponeva l’autorizzazione regia per l’erezione di qualsiasi nuova costruzione, Gian Girolamo II decise di aggirarlo imponendo per la costruzione di nuove abitazioni ad Alberobello l’impiego di pietre a secco, con l’assoluto divieto della malta, in modo tale che alle prime avvisaglie dell’arrivo dei gabellieri, l’intero villaggio sarebbe stato agevolmente ridotto in cumuli informi di pietre, simili a quelli che in abbondanza esistevano nei campi della Murgia. La ricostruzione sarebbe stata rapidamente realizzata dagli abitanti subito dopo la partenza dei gabellieri regi. Questa situazione durò fino alla soppressione del regime feudale che ad Alberobello si verificò nel 1797.

Se con l’eversione feudale iniziò il declino dell’architettura a trullo nel centro abitato di Alberobello, lo stesso non può dirsi per le aree coltivate della Murgia dei Trulli che, proprio nel XIX sec. ebbero un notevole impulso grazie a nuovi contratti agrari che favorivano la miglioria del fondo coltivato: il trullo si rivelò, così, estremamente economico in queste aree in quanto favoriva l’impiego delle pietre frutto dello scasso e dello spietramento del terreno per l’impianto del vigneto e la permanenza del contadino sul fondo coltivato.

Sia il trullo di campagna che quello di “città” possono essere considerati come il risultato di una lunga evoluzione che, a partire dal XVI sec. circa, interessò le costruzioni a secco poco prima adoperate come semplici rifugi e in seguito imposti, per editto feudale, quali abitazioni permanenti.

Una caratteristica di questa evoluzione si deve alla sapiente intuizione di considerare il volume architettonico unicellulare come modulo volumetrico, ossia come cellula costruttiva capace di innescare degli assemblaggi secondo combinazioni aritmetiche per produrre fabbriche bicellulari, tricellulari, quadricellulari, eccetera. Grazie a questa intuizione, i costruttori di trulli del passato ebbero la possibilità di impiegare il modulo volumetrico, che mantiene inalterate le proprie caratteristiche planimetriche e spaziali, in combinazioni sempre più complesse e funzionali: prima rifugio, poi abitazione, masseria, agglomerato, villaggio, borgo per giungere fino alla città.

Nel caso dei moduli bicellulari, composti da trulli sia a base circolare che quadrangolare, sono spesso presenti alcove, ricavate con un incasso nello spessore delle murature, e il focolare, incassato nel muro e con canna fumaria che sbocca all’esterno della costruzione, particolari, questi, che raramente si riscontrano nelle altre capanne a secco pugliesi adibite a rifugio temporaneo.

A partire dal modulo tricellulare, costituito prevalentemente da trulli a base quadrangolare ma anche ellittica, sussistono, anche se espresse in maniera larvale, le prerogative congeniali per poterli diagnosticare con una prevalente fruizione abitativa in ambito rurale. In questa composizione, infatti, l’ambiente maggiore (caratterizzato anche dalla presenza del focolare) viene riservato per le attività diurne, mentre gli altri due vani sono destinati a zona notte.

Casèdde bicellulare presso Locorotondo. Si presenta come un ibrido tra un casolare (corpo di base in piramide troncata) e un trullo. La copertura piana era in grado di assicurare un maggior immagazzinamento dell’acqua piovana convogliata in un cisterna scavata nel sottosuolo.
© Marco Miosi

Si tratta in questi casi di un organismo complesso dovuto all’agglomerazione di due o tre abitazioni, oppure derivante, nel caso di grosse masserie formate esclusivamente da trulli, dalla giustapposizione di una parte dei rustici alle dimore dei massari. Nell’area della Murgia dei Trulli, oltre alla tipologia, appena descritta, che prevede una sola apertura dal lato strada, sono presenti anche costruzioni dotate di un muro, o perimetrale o sulla sola facciata, nel quale si aprono le porte di accesso ed i vani delle finestre.

Come ci informa il Degano, se la prima tipologia (più antica, essendo priva di finestre ed aperture secondarie), è nata con lo scopo di evitare la dispersione di calore interno e di migliorare le caratteristiche igrometriche dell’abitazione, ha però scarsa ventilazione e illuminazione e risulta, di conseguenza, poco igienica e salutare per i suoi abitanti.

Come riflesso della cultura igienistica ottocentesca, invece, potrebbe essere spiegata la seconda tipologia, frutto di un’innovazione della tecnica costruttiva a trullo atta ad assicurare, ai moduli aggregati in unità abitative di più vani, alcuni requisiti di igienicità ambientale, quali l’illuminazione naturale, la penetrazione dei raggi solari all’interno delle dimore, ed una più efficiente ventilazione e ricambio d’aria.

Oltre al trullo rurale e cittadino dobbiamo, infatti, tener conto anche di quello adibito, da almeno un secolo e mezzo, a casino di villeggiatura estiva: sono più numerosi nei grossi centri abitati e, Martina Franca, ne è il più importante polo di dispersione, ma si infittiscono soprattutto nella Valle d’Itria. Questi ultimi erano spesso la residenza estiva del proprietario di un cospicuo appezzamento di terreno tenuto a coltivazioni intensive e curato assiduamente da una famiglia di coloni con dimora stabile sul fondo.

Da Fasano a Carovigno - Salento

12) Da Fasano a Carovigno

Nella zona litoranea fra Fasano e Ostuni sono presenti forme e organismi che ripetono quelli già noti nella valle d’Itria, ma i trulli di quest’area sono costruiti con materiale diverso: in tufo (detto “tufo bianco”), anziché in calcare. La scarsa resistenza implicando al solito conci più spessi, comporta una maggiore altezza della cupola con inclinazione delle generatrici superiore a 45°. La muratura del basamento è a vista, sufficientemente impermeabilizzata dalla patina che si forma su questo materiale sotto l’azione degli agenti atmosferici. La struttura della cupola è rivestita in conci del medesimo tufo, tagliati su uno spessore di circa dieci centimetri e usati al modo delle chianche.

Il risultato volumetrico si esprime in un largo basamento rotondeggiante, basso tamburo intermedio, cupola conica. La distribuzione interna dei trulli in tufo fasanesi non subisce variazioni rispetto a quelli della Murgia di sud-est.

Si notano, però, alcuni caratteri di arcaicità, come ad esempio, il focolare che occupa un vano intero, con l’intradosso della cupola che sostituisce la cappa e fornisce la canna di tiraggio.

Sulle colline di Ostuni, con propaggini più o meno estese negli agri attigui di Cisternino, Carovigno, San Vito dei Normanni e San Michele Salentino, si rinvengono costruzioni in pietra a secco localmente note come casedde e adibite, soprattutto in passato, ad abitazione sparsa associata al vigneto.

Sono state edificate con la stessa procedura costruttiva dei trulli alberobellesi e delle altre capanne in pietra a secco pugliesi (cupola in aggetto), nonostante quanto sostenuto da Simoncini e Allen che le ritenevano, a torto, completamente voltate a sistema spingente.

L’articolazione planimetrica è, in generale costituita da un unico ambiente ripartito però in tre o più spazi disposti in successione lineare. Lo spazio centrale, che ha predominanza volumetrica rispetto agli altri due laterali, è concluso con una calotta il cui estradosso si evince negli spazi esterni di inviluppo. Gli spazi laterali interni sono, soventemente, conclusi con delle volte a botte.

I volumi esterni di inviluppo, invece, sono caratterizzati in ragione di tre componenti sovrapposti. Il primo è costituito dalla zona basamentale, che ha altezza uguale all’architrave del fornice di ingresso, il secondo componente è un tronco di ellissoide alquanto rientrante nei confronti della porzione basamentale, il terzo componente è il riverbero esterno della copertura dello spazio centrale il quale somiglia ad una semisfera.

Ulteriori particolarità di questa tipologia di fabbriche sono rappresentate dall’intonaco che riveste completamente le due componenti spaziali: esterna ed interna, nonché quella del fornice di ingresso al quale è sovrapposto una specie di “protiro” di forma parallelepipeda.

Casedda del tipo “ostunese” dell’agro di Ostuni. Questa costruzione presenta internamente tre vani intercomunicanti dei quali il primo, d’ingresso, era probabilmente adibito a zona giorno, quello a sinistra di questo a cucina (focarile) dotato di canna fumaria al centro e di due piccoli ambienti ai lati (separati da arconi e voltati da mezze-cupole in aggetto), ognuno dei quali presenta un ripostiglio a muro, utile per riporre le stoviglie e altri oggetti da cucina. A destra del vano centrale, è presente un ambiente quadrangolare verosimilmente adibito a zona notte. Delle tre coperture, solo quella centrale, più alta, appare estradossata parzialmente all’esterno in un cupolino emisferico, mentre le altre sono nascoste dalle murature di rinfianco. Notare i gradini a mensola sul primo gradone e le canalette lungo le pareti verticali per canalizzare l’acqua piovana nella cisterna sita all’esterno della capanna.
© Marco Miosi.

In territorio di Carovigno sorgono anche edifici planimetricamente affini alle casèdde della costa barese, essendo ad una o due cellule, ma adibiti ad abitazione. Inoltre, come ci informa il Simonicini, si rinvengono spesso forme ibride tra il trullo alberobellese (presenza di copertura a chiancarelle) e la casedda ostunese (basamento e gradone a tronco di ellissoide) oppure tra il casolare e la casedda.

13) Salento

La maggior parte delle capanne in pietra a secco tuttora disseminate nelle campagne della penisola Salentina sono state costruite negli ultimi due secoli (XIX e XX secc.), in concomitanza con il frazionamento dei latifondi e la successiva opera di bonifica e miglioria da parte di piccoli proprietari assegnatari di modeste unità particellari.

L’area di massima densità (70-80 esemplari per Kmq) si riscontra, infatti, nel Salento meridionale, tra Salve e Presicce e fino al Capo di Leuca, dove maggiore è stato il frazionamento delle grosse proprietà agrofondiarie. Del resto non tutta la penisola salentina è uniformemente ricoperta di capanne in pietra a secco, e infatti nelle depressioni fra le Serre, e soprattutto nella pianura messapica, i contadini erano abili costruttori di capanne vegetali in sostituzione di quelle di pietra.

Nelle Murge tarantine (in particolare Lizzano, Torricella, Monacizzo e Maruggio), la consistente opera di bonifica dei primi anni del XX sec., che ha interessato una superficie di 100 ettari paludosi, ha portato i contadini locali ad impiantare vigneti e ad edificare molte capanne in pietra a secco, che si presentano con moduli unicellulari alquanto ampi, prevalentemente con forma planimetrica ellittica e quadrangolare, e con l’involucro esterno composto con “gradoni”.

Nella provincia di Lecce, invece, le capanne in pietra a secco si presentano esternamente con forma tronco-conica e, in minor misura, tronco-piramidale.

Queste costruzioni, utilizzate soprattutto come riparo temporaneo e ricovero di animali e attrezzi agricoli, si rinvengono di norma al centro dell’unità particellare e sono spesso collegate alla viabilità pubblica mediante stradone carraie.

Frequenti sono pure i raggruppamenti di due o più costruzioni di forma differente, all’interno della stessa unità fondiaria. All’elemento più grande si affiancano, senza soluzione di continuità, edicole più piccole adibite a deposito di legna o a stalla.

La presenza di un focolare all’interno della cellula maggiore e, spesso, di un forno all’esterno, tra un’edicola e l’altra, testimonia un uso più prolungato, magari per tutta la stagione estiva, del riparo. La mangiatoia per l’asino o per il cavallo la troviamo all’interno o all’esterno della costruzione, sempre ricavata nello spessore del muro e costituita generalmente da una pila circolare ricavata da un blocco di pietra leccese.

Alla provvista dell’acqua si rimediava, e spesso si rimedia ancora, scavando una cisterna nelle immediate vicinanze del riparo: in tal caso geniali soluzioni di canalizzazione permettono di raccogliere le acque piovane non solo dal tetto della costruzione ma anche dalla spianate ottenute nel banco di roccia affiorante. Non di rado la cisterna è collocata all’interno della costruzione, ma spesso la troviamo invece realizzata accanto alla cellula abitativa, non scavata nel terreno, ma costruita sulla roccia affiorante con la stessa tecnica e con la stessa forma del riparo, ma più bassa di questo in modo da raccogliere le acque dalle due spianate sommitali.

Spesso il vano porta è preceduto da un breve vestibolo ottenuto nello spessore del gradone di rinfianco che, interrompendosi in prossimità del vano porta, consente l’appoggio di una copertura che può essere risolta in muratura, mediante una struttura ad arco, o, più semplicemente, in materiale vegetale sorretto da tronchi più grossi o, ancora, con tegole sorrette da incannucciata.

Due sedili di pietra si dispongono di norma ai lati della porta e nello spessore delle murature si aprono nicchie per poggiare la lucerna ad olio o il lume a petrolio. Altre volte, invece, nella stessa muratura si apre una nicchia più grande e si dispone il focolare.

Non mancano esempi dove il vestibolo assume la funzione di cortiletto, in tal caso troviamo anche una pila per lavare i panni, il focolare, la cisterna per la raccolta delle acque piovane, la mangiatoia per l’asino e alcuni sedili di pietra.

Il forno per cuocere il pane è comunemente isolato e posto di fronte al riparo.

Alla semplice forma tronco-conica e tronco-piramidale viene spesso addossata una specchia con funzione di contrafforte, e utilizzata, inoltre, come ulteriore ripiano per essiccare i prodotti agricoli. L’ulteriore sviluppo di questo tipo ha portato ad ingrandire il tetto a terrazza per ottenere un più largo spazio per l’essiccazione.

Nella estrema Puglia meridionale (a sud di Lecce), accanto alla capanna di pietre rotonda è molto diffusa la costruzione quadrata. Sebbene la tipica costruzione a cupola rimanga, la copertura esterna è stata tanto accresciuta ed allargata, che il tronco di cono ha acquistato la forma di un tronco di piramide.

Un’ulteriore “evoluzione” di questa aggiunta di ripiani o terrazze si può ammirare soprattutto nella costa jonica dell’estremo Salento, dove gli esemplari più grandi, a tre, quattro, cinque gradoni si rinvengono più particolarmente dentro un’area che insiste sulla serra di Ugento, ma che ha già i suoi avamposti presso la costa gallipolina, da un lato (Torre del Pizzo), e negli uliveti tra Morciano e Salve, dall’altro.

Tra queste capanne di grandi dimensioni, però, molto rare dovevano essere quelle dotate di due piani, con soppalco in legno fungente da divisorio e accesso a due livelli differenti, secondo un modello diffuso in molte caselle liguri e nelle capanne gradonate abruzzesi ma quasi del tutto inusitato in Puglia: un esempio è il cosiddetto trullo di papa Fedele in territorio di Patù.

Oltre alle due forme prevalenti, tronco-coniche e tronco-piramidali, si rinvengono sporadicamente, nella provincia di Lecce. La forma primaria ogivale, ad esempio, è presente in alcuni esemplari scoperti dal Costantini in agro di Specchia, Otranto e Borgagne, dove notevoli sono le somiglianze con le costruzioni ad ogiva del barlettano. Una simile forma ogivale assumono anche i tipici pollai con cupola in aggetto estradossata (puddhari), posti in prossimità delle aie in molte masserie del Salento e costruiti con un unico paramento murario, di conci squadrati di carparo cementati con malta (spesso fatta di solo bolo).

In territorio di Lequile invece è presente una costruzione con cupola estradossata emisferica, che ricorda gli esempi laertini e ginosini (nel tarantino) e dell’area di Giovinazzo/Modugno/Bitonto (nel barese).

Il Battaglia, infine, segnala per l’agro di Trepuzzi alcune capanne tronco-coniche terminanti in “un cono ricoperto di terriccio” e la tipologia (unica nel suo genere in Puglia) tronco-piramidale con “tetto a piramide”.

Riguardo alla copertura in aggetto, questa è circolare nella gran parte dei manufatti, sebbene, molto sporadicamente, venisse adoperata anche la variante a carena di nave rovesciata. Finora è stata segnalata in due soli complessi: oltre a quello, studiatissimo fin dai tempi del Bertaux, del “trullo Ferrante” (presso Ruffano), composto da tre vani affiancati di cui quello di destra, più allungato, è coperto da una volta in aggetto a carena di nave rovesciata.

Pagliaru tronco-piramidale dell’agro di Vernole nei pressi di Acquarica di Lecce (contrada Tubbule). È una delle costruzioni più grandi del Salento e probabilmente di tutta la Puglia: il fronte supera i 15 metri e il vano interno, quadrangolare, è coperto da una cupola in aggetto alta da terra m 7,40. Notare il basso muro esterno che contrafforta l’intera struttura, noto localmente come murena. Attualmente questa capanna sorge in un seminativo adibito a pascolo ovi-caprino.
© Marco Miosi.


© CERAV, Paris

Il riferimento al presente articolo saranno citati come segue / À référencer comme suit :

Marco Miosi

Le capanne in pietra a secco con cupola in aggetto d'Italia (Les cabanes en pierre sèche à voûte d'encorbellement de l'Italie)

http://www.pierreseche.com/AV_2014_miosi.htm

29 août 2013

Biografia :

Marco Miosi (Ferrara, 1984), antropologo culturale, ha conseguito la laurea specialistica in “Scienze antropologiche”  presso l'Ateneo di Perugia dove ha dedicato i suoi interessi allo studio descrittivo della capanna in pietra a secco con copertura in aggetto nelle diverse configurazioni formali che essa assume nella penisola italiana. A partire dalla tesi ha effettuato lunghe ricerche bibliografiche e, al contempo, una ricerca sul campo in Puglia distribuita nell’arco di diversi anni, dal 2006 al 2010, dove gli è stato possibile visitare diverse capanne in pietra a secco che ha provveduto a fotografare e a rilevare, e questo lungo lavoro è confluito infine nella sua prima monografia (Tholoi d'Italia - Trulli e capanne in pietra a secco con copertura a tholos) pubblicata nel 2012 presso le Edizioni di Pagina all'interno della Collana "Etnografie" diretta dal prof. Ferdinando Mirizzi. Sempre nell'ambito delle costruzioni vernacolari in pietra a secco ha anche scritto un articolo "divulgativo" su «Bari Economica» dal titolo Viaggio nel trullo, luogo mistico (2009, n. 5), e un saggio scientifico dal titolo Origine dei trulli e delle capanne in pietra a secco pugliesi (in «Riflessioni Umanesimo della pietra», Martina Franca, ottobre 2013). Nel 2013, inoltre, è diventato socio del C.E.R.A.V. (Centre d'études et de recherches sur l'architecture vernaculaire) con sede a Parigi e presso il sito dell'associazione francese ha pubblicato un articolo dal titolo Le capanne in pietra a secco con cupola in aggetto d'Italia - Les cabanes en pierre sèche à voûte d'encorbellement de l'Italie (29/08/2013).

Nell'ambito delle culture dell'area Mediterranea, invece, ha svolto a livello teorico alcune ricerche come la collaborazione biennale (2010-2012) nell'ambito del lavoro propedeutico alla redazione dei volumi di Orientalismi (arabismi, turchismi, persianismi, ebraismi, ecc.) nella lingua italiana, che si va realizzando a Bari presso la Redazione barese del LEI (Lessico Etimologico Italiano) edito dalla Akademie der Wissenschaften und der Literatur a Magonza, a cura della cattedra di “Storia della lingua italiana” (Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere), tenuta dal prof. Antonio Lupis. E in quest'ambito ha partecipato come relatore al Convegno “Lingue e culture del Mediterraneo - Ia Giornata internazionale di studio” organizzato dall'Università degli Studi Aldo Moro - Bari (Facoltà di Lingue e letterature straniere) e dalla Camera di Commercio Italo-Orientale - Bari con una relazione dal titolo "Nomi e tecnologie delle costruzioni a cupola nella storia del Mediterraneo". Ha svolto inoltre una ricerca antropologica sul campo sui temi del multiculturalismo, dell'identità mediterranea e delle relazioni interetniche tra gli studenti in formazione presso l'Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari (IAMB), struttura operativa italiana del CIHEAM (Centre International de Hautes Études Agronomiques Méditerranéennes), nel corso di uno stage dal titolo "IAMB students community: networking and management".

Ha scritto inoltre su «Bari Economica», gli articoli: Un futuro per la pecora “Altamurana” (2008, n. 1), La virilità del maccherone al sugo (2010, n. 3) e I fiori sempiterni che donò l’Imperatore (2010, n. 5). Per la rivista «Altamura» ha pubblicato l’articolo L’allevamento della pecora “Altamurana” nella murgia barese: tra tradizione e patrimonializzazione nel n. 48/49 del 2007-2008.

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